Kipling
ha vent’anni quando nel 1885 scrive il racconto La strana cavalcata di Morrowbie Jukes.
Ne sono
passati ventotto dal 1857, anno dell’Indian Mutiny, cioè della ribellione degli
indiani contro i colonizzatori britannici. Anche se la rivolta fu repressa e
portò a un rafforzamento dell’ordine e del dominio inglese, aveva in fin dei
conti spaventato e indebolito la macchina dell’Impero, rendendola consapevole
della forza di quei selvaggi che dovevano essere sottomessi dominati e, per
quanto possibile, civilizzati.
Rudyard
Kipling, nato a Bombay da genitori inglesi, a sei anni era stato mandato a
studiare in Inghilterra -forse il momento più infelice della sua esistenza - e
a diciassette, tornato in India, si era fatto assumere come giornalista da un
quotidiano locale inglese. Sarà proprio nella “Civil and Military Gazette” che
pubblicherà i suoi primi racconti, tra cui La
strana cavalcata di Morrowbie Jukes.
Fin
dall’inizio del racconto l’autore ci assicura che “non c’è niente d’inventato
in questa storia”; del resto, come sarebbe possibile? Il protagonista, Jukes, è
un ingegnere civile inglese e “s’intende di planimetrie, distanze e cose del
genere: insomma non è certo il tipo che si prende la briga di inventare insidie
immaginarie”. Tutto ha inizio da un leggero attacco di febbre che lo rende
irritato e nervoso tanto da decidere di inseguire e far fuori in piena notte un
“bestione bianco e nero”. Già il fatto che nella sua notturna cavalcata Jukes
brandisca l’asta contro la luna piena e sfidi verbalmente i cespugli spinosi per
inseguire una preda sulla cui esistenza non sappiamo granché, ci fa capire che
le cose non sono proprio totalmente sotto controllo. Nel suo folle inseguimento
notturno a un certo punto si ritrova in un luogo infernale, un cratere di
sabbia a forma di ferro di cavallo da cui è impossibile uscire: arriva l’alba e
ci sono delle persone lì dentro, tra cui un bramino sua vecchia conoscenza:
Jukes è capitato in un luogo mitico, un luogo in cui la leggenda dice che venivano
portati i morti-non morti, cioè quelle persone credute morte, ma che poi
all’ultimo si risvegliavano e che ormai non potevano più essere riportate tra i
vivi.
È un
luogo terribile, allucinato, una tomba a cielo aperto dove tutte le strutture
sociali, gerarchiche, di grado, vengono dimenticate a vantaggio di una lotta
per la sopravvivenza individuale. Jukes vorrebbe far valere le proprie
prerogative di uomo bianco, britannico e dominatore, cerca di dare ordini, abituato
com’è a “una certa qual deferenza da parte degli inferiori”, ma si accorge di
non venir preso in considerazione.
I
rapporti si stanno ribaltando, lui uomo bianco occidentale riesce sì a comprare
con i soldi che ha in tasca del cibo dal bramino, ma quando i soldi finiranno
dovrà arrangiarsi da solo e catturare cornacchie; non ci sono più servi alle
sue dipendenze, nessuno a cui dare ordini, Jukes è uguale se non inferiore a
tutti gli altri poveri abitanti di questo paese di non-vivi.
Nel
racconto si fa progressivamente strada un senso di straniamento, di paranoia
per il ribaltamento dei piani e per la degenerazione del proprio status quo. Le
regole del grande gioco imperiale appaiono capovolte, il colonizzatore diventa
il colonizzato, gli indigeni i dominatori”.
La
situazione di Jukes e di qualsiasi inglese che potesse identificarsi con lui
non è molto dissimile da quello che avevano potuto provare tutti gli inglesi di
stanza in India durante l’ammutinamento: un grande terrore allucinatorio e
paranoico sulla possibilità di venire sopraffatti dall’indigeno, da
quell’indigeno selvaggio e incivile sclerotizzato in comportamenti e riti
inumani che doveva essere dominato proprio perché inferiore.
La paura
dell’Altro arriva a causare comportamenti ossessivi e paranoici incrinando le
sicurezze di quello che avrebbe voluto credere di essere l’infrangibile Impero
britannico.
G.D.C.
Bibliografia:
Rudyard
Kipling, Il risciò fantasma e altri
racconti dell’arcano, Adelphi, Milano 1999
Saggio
di Federica Zullo, L’Impero e altro.
Contaminazioni e paranoia in alcuni racconti di Rudyard Kipling in www.griseldaonline.it/percorsi/zullo.htm
Nessun commento:
Posta un commento