cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 13 aprile 2013

Kipling e la paranoia del colonizzatore

Kipling ha vent’anni quando nel 1885 scrive il racconto La strana cavalcata di Morrowbie Jukes.
Ne sono passati ventotto dal 1857, anno dell’Indian Mutiny, cioè della ribellione degli indiani contro i colonizzatori britannici. Anche se la rivolta fu repressa e portò a un rafforzamento dell’ordine e del dominio inglese, aveva in fin dei conti spaventato e indebolito la macchina dell’Impero, rendendola consapevole della forza di quei selvaggi che dovevano essere sottomessi dominati e, per quanto possibile, civilizzati.
Rudyard Kipling, nato a Bombay da genitori inglesi, a sei anni era stato mandato a studiare in Inghilterra -forse il momento più infelice della sua esistenza - e a diciassette, tornato in India, si era fatto assumere come giornalista da un quotidiano locale inglese. Sarà proprio nella “Civil and Military Gazette” che pubblicherà i suoi primi racconti, tra cui La strana cavalcata di Morrowbie Jukes.



Fin dall’inizio del racconto l’autore ci assicura che “non c’è niente d’inventato in questa storia”; del resto, come sarebbe possibile? Il protagonista, Jukes, è un ingegnere civile inglese e “s’intende di planimetrie, distanze e cose del genere: insomma non è certo il tipo che si prende la briga di inventare insidie immaginarie”. Tutto ha inizio da un leggero attacco di febbre che lo rende irritato e nervoso tanto da decidere di inseguire e far fuori in piena notte un “bestione bianco e nero”. Già il fatto che nella sua notturna cavalcata Jukes brandisca l’asta contro la luna piena e sfidi verbalmente i cespugli spinosi per inseguire una preda sulla cui esistenza non sappiamo granché, ci fa capire che le cose non sono proprio totalmente sotto controllo. Nel suo folle inseguimento notturno a un certo punto si ritrova in un luogo infernale, un cratere di sabbia a forma di ferro di cavallo da cui è impossibile uscire: arriva l’alba e ci sono delle persone lì dentro, tra cui un bramino sua vecchia conoscenza: Jukes è capitato in un luogo mitico, un luogo in cui la leggenda dice che venivano portati i morti-non morti, cioè quelle persone credute morte, ma che poi all’ultimo si risvegliavano e che ormai non potevano più essere riportate tra i vivi.
È un luogo terribile, allucinato, una tomba a cielo aperto dove tutte le strutture sociali, gerarchiche, di grado, vengono dimenticate a vantaggio di una lotta per la sopravvivenza individuale. Jukes vorrebbe far valere le proprie prerogative di uomo bianco, britannico e dominatore, cerca di dare ordini, abituato com’è a “una certa qual deferenza da parte degli inferiori”, ma si accorge di non venir preso in considerazione.
I rapporti si stanno ribaltando, lui uomo bianco occidentale riesce sì a comprare con i soldi che ha in tasca del cibo dal bramino, ma quando i soldi finiranno dovrà arrangiarsi da solo e catturare cornacchie; non ci sono più servi alle sue dipendenze, nessuno a cui dare ordini, Jukes è uguale se non inferiore a tutti gli altri poveri abitanti di questo paese di non-vivi.
Nel racconto si fa progressivamente strada un senso di straniamento, di paranoia per il ribaltamento dei piani e per la degenerazione del proprio status quo. Le regole del grande gioco imperiale appaiono capovolte, il colonizzatore diventa il colonizzato, gli indigeni i dominatori”. 


La situazione di Jukes e di qualsiasi inglese che potesse identificarsi con lui non è molto dissimile da quello che avevano potuto provare tutti gli inglesi di stanza in India durante l’ammutinamento: un grande terrore allucinatorio e paranoico sulla possibilità di venire sopraffatti dall’indigeno, da quell’indigeno selvaggio e incivile sclerotizzato in comportamenti e riti inumani che doveva essere dominato proprio perché inferiore.
La paura dell’Altro arriva a causare comportamenti ossessivi e paranoici incrinando le sicurezze di quello che avrebbe voluto credere di essere l’infrangibile Impero britannico.



G.D.C.

 
Bibliografia:
Rudyard Kipling, Il risciò fantasma e altri racconti dell’arcano, Adelphi, Milano 1999
Saggio di Federica Zullo, L’Impero e altro. Contaminazioni e paranoia in alcuni racconti di Rudyard Kipling in www.griseldaonline.it/percorsi/zullo.htm

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