cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

venerdì 27 aprile 2012

Quando Il brutto diventa bello: Cinico TV


Credo abbiate ben presente quel rumore… tu tu tu tun tutun, tu tu tu tun, tu tu tu tun; sono appiccicato ad un finestrino osservando un mondo che sfreccia creando un dipinto lungo chilometri di frenetiche pennellate sulla tela magica della nostra penisola. Tutto è simile ad una galleria d'arte istantanea che riassume la bellezza e talvolta il degrado di un paese che passa per le sconfinate colline in terra di Siena per arrivare alla periferia fatiscente di qualche città o qualche cavalcavia abbandonato anche dall'ultimo dei Clochards.
Lo spettacolo varia, è emozione in movimento, ti solletichi il cervello con l'idea romantica del viaggio attraverso le terre sconfinate; il tutto accompagnato da quella strana colonna sonora suonata con ruote e binari di metallo dal solito ritmo che nell'insieme e nella semplicità della cosa stimola la fantasia.
Ho tempo per pensare e osservare, lo sguardo a volte si stacca dalla vetrata sul mondo e va a scrutare i volti; davanti a me è seduto un uomo d'affari, i suoi compagni di viaggio sono congegni elettronici, pc, e telefoni, credo sia un grossista di frutta dato che tutti i suoi attrezzi sono marchiati con una specie di mela mangiucchiata. In fondo allo scompartimento sento parlare inglese in uno slang tipicamente statunitense, sono ragazzi che ridono e scherzano attorniati dai loro enormi zaini d'avventura. Dal lato opposto al mio c'è una ragazza che coglie la mia curiosità, è bella e ascolta musica, si vede, è rilassata socchiude gli occhi e guarda lontano drogata dalla miscela musica e finestrino; ditemi chi non ha mai provato questo tipo di sensazione? E' volo libero! tu e tu, la tua musica e lo sguardo perso nell'infinito.

Decido di imitarla e mi attacco anch'io alle cuffie per iniettarmi una sana dose di benessere facendo trascorrere così l'ultima mezz'ora che mi separa dalla nostra Capitale. Eh già sto andando verso il centro del mondo per inseguire uno dei miei tanti sogni, verso il "Caput Mundi", la culla dell'arte, verso la sede dell'impero partito dai seni di una lupa spelacchiata, la città di Cesare, delle orchestre, di Vacanze Romane e di Alberto Sordi. La città di Cinecittà…la città dei grandi registi.
Il tun tun cominica a cambiare ritmo, diminuiscono i bpm e le carrozze si inclinano a sinistra, il treno rallenta saltando sugli scambi e imboccando il binario per Roma Termini Centrale. Si ferma il treno, prendo il mio bagaglio pezzato e, sempre con la musica che percuote i timpani mi accingo a scendere sulla banchina della grande stazione. La musica aumenta, è partito un pezzo da pelle d'oca "così parlò Zarathustra" di Strauss, componimento che per chi lo conosce ti stordisce e ti fa perdere la concezione dello spazio tempo. Sono in mezzo al tutto quando la musica mi fa rizzare i peli concludendosi a gran potenza in un trionfo di timpani ed ottoni. Wow! tolgo le cuffie e le mie orecchie vengono assalite e stuprate dai rumori dello scalo ferroviario, clacson, altoparlanti, pubblicità su mega schermi, anche il naso vuole la sua parte e come in una trincea senza scampo si difende dai fritti dei fastfood, dall'odore di gasolio tipico dei binari e da odore di piscio. Qualcuno mi urta da dietro passandomi sopra ad un piede con la rotella del suo trolley da mille euro, non chiede nemmeno scusa, ha fretta. Il mondo mi rotea attorno e mi vedo catapultato in una sequenza di un film dove la cinepresa gira frenetica attorno al soggetto, solo, in mezzo al niente. Davanti ho un triste riassunto della nostra società e cosa si vede? Barboni e colletti bianchi, politici e "tassinari", religiosi e criminali tutti in un minestrone amaro girato da un solo mestolo, il dio Denaro. Milioni sono le immagini pubblicitarie sparate nel cervello della gente, un mondo eroso da una vita legata al consumismo nel senso più puro. Mangiare bere e trombare sembra il motto di una massa umana marcia e decadente che si sgretola a causa di abitudini inculcate da una delle creazioni più malefiche dell'era moderna: la scatola magica ovvero il nostro amato televisore. Qualcuno però è ben riuscito a sfruttare questo canale comunicativo per descrivere, a mio parere genialmente, lo status umano che si raggiunge anche in una società dove tutto sembra perfetto, pulito e candido una società che se personificata assomiglierebbe ad un uomo d'affari simile a quello incontrato in treno, ben vestito e curato con la sorpresa di un corpo putrefatto al di sotto di quel costoso capo d'abbigliamento. La superbia dell'uomo di considerarsi evoluto trova il suo baratro nelle creazioni cinematografiche di due registi Siciliani non molto conosciuti Daniele Ciprì e Franco Maresco.
I due iniziano la carriera sul finire degli anno ottanta in una rete televisiva Palermitana, la TVM creando dei lavori sperimentali. Nei primi anni novanta trovano posto nei programmi televisivi Blob e Fuori Orario firmati da Enrico Ghezzi in quella che era la Raitre di Angelo Guglielmi dando così vita ad una serie Tv composta da circa cinquanta episodi intitolata "Cinico Tv". I due riescono a lanciare una serie che si oppone totalmente a ciò che comunemente la Tv ci trasmette. Ci viene presentata una società degradante, un ambiente post-moderno, descrizione estrema che sfocia quasi sul post-apocalittico, una predizione di un futuro prossimo rovinato dalle stesse mani umane stregate dai vizi di un popolo ingordo. Non più idoli ed Eroi da imitare ma un disegno riassuntivo dei difetti e della bassezza dell'uomo da contemplare. Ci vengono rappresentati ambienti fatiscenti in bianco e nero contornati da cieli nuvolosi ed opprimenti. Periferie siciliane desolate abitate da protagonisti non professionisti analfabeti, sporchi, ignoranti e talvolta ossessionati dal sesso. L'immagine vitruviana dell'uomo frustata e buttata sul rogo, l'opposto dell'essere persona che si trasforma in animale. Ciprì e Maresco ci propongono così un futuro opposto da quello evoluto dell'immaginario comune.
In questi episodi i registi utilizzano l'inquadratura a campi lunghi servendosi  principalmente di ambienti urbani, muri che si perdono all'orizzonte, terreni incolti su uno sfondo lontano di una Sicilia sinistra, abusiva dominata dal nero dal bianco e da alcune vignettature sfumate ai bordi dell'inquadratura. In questi set "da manicomio" prendono vita delle interviste condotte da una voce fuori campo e rivolte a dei protagonisti ambigui, uomini comuni, anzi, uomini recuperati da qualche quartiere stritolato dalla morsa della mafia e dell'ignoranza. Personaggi che trasmettono sporco, puzza, ansia e disperazione. Interviste ossessive portate avanti ad oltranza senza alcuna comprensione da parte degli stessi protagonisti con temi dal contenuto rasoterra. "Cinico TV" è una documentazione comica della bassezza umana, un'esaltazione del brutto come mezzo di sensibilizzazione rivolta ad un pubblico vasto come quello della televisione. In questi episodi i registi ci mostrano l'incompletezza dell'essere umano, utilizzano soggetti maschili e non lasciano spazio all'eleganza e alla grazia della femminilità. E' una messa in scena fissa di un set Siciliano Antimediterraneo che attinge le sceneggiature da quartieri popolari famigerati come il quartiere Zen di Palermo. Siamo spinti ad entrare in una galleria di quadri "Trash" rinvenuti in una discarica abusiva, dipinta però da menti acute con colori pregiati.
I primi minuti di visione di un episodio di Cinico lo spettatore cede al riso, la comicità bassa lo diverte ma poco a poco questa esuberanza sfuma in un senso di malinconia, malessere ed ansia. Il prolungarsi e il ripetersi di scene pietose lo ipnotizzano trattenendolo in un tunnel buio di sensazioni amare, in una dimensione apocalittica dell'essere.
La cinepresa assieme alla voce fuori campo si intrufola all'interno di un mondo tabù spogliandolo e sbattendolo in piazza nella bruttezza della sua naturale nudità.

 

Ma sorge una domanda:"Dove troviamo l'arte in tutto ciò?" Per comprendere meglio il fine di Ciprì e Maresco voglio citare un pezzo tratto dall'intervista "L'estetica del Brutto" di Remo Bodei avvenuta a Roma nel 96 che dice: "Per Rosenkranz vi è anche un'arte brutta, in cui il brutto non solo è qualcosa che l'arte non deve escludere, ma è qualcosa di cui l'arte, la bellezza hanno bisogno, cioè un'opera d'arte è tanto più bella quanto più grande è la quantità di negativo, di brutto, che ha dovuto vincere. Quindi l'arte è in sostanza concepita da Rosenkranz come un combattimento tra l'Arcangelo Gabriele e il diavolo. Soltanto l'arte somma (un Sofocle, un Calderon, per lui, o uno Shakespeare, è tale perché dentro di sé mantiene tutto il fermento, tutti i germi, per così dire, sconfitti) è riuscita a vaccinarsi, è riuscita a mitridatizzarsi contro il veleno del brutto che ha ingerito. Il brutto diventa il presupposto necessario per innalzare il tasso di bellezza. Soltanto al limite del soccombere l'arte può avere un ultimo guizzo e una vittoria. Se l'arte resta pacificata, se l'arte non si scontra coi grandi problemi che sono inafferrabili, ma che rappresentano il male del mondo, le patologie della realtà, quest'arte non avrà nessuna possibilità di grandezza".
Davanti abbiamo quindi due registi senza inibizioni, senza paura dell'opinione pubblica, abbiamo due rivoluzionari e come tali suscitano contrasti e disapprovazioni nuotando contro la corrente di un fiume in piena rifiutando interviste nei Talk di prima serata ed esercitando la loro Arte di registi senza tangere il mondo stesso del cinema soggiogato al commercio. Danno vita a personaggi come il ciclista Francesco Tirone, il gigante Giuseppe Paviglianiti affetto da meteorismo, l'incomprensibile Fortunato Cirrincione, Giuseppe Filangeri, le "schifezze umane" Carlo e Pietro Giordano, i fratelli Abbate, Rocco Cane, Marcello Miranda e Natale Lauria per i quali il pubblico andrà a provare un miscuglio di sentimenti a partire dalla tenerezza per arrivare al disprezzo e finire con la compassione senza però capire alla fine il predominante. Sono personaggi "BORDER LINE" senza possibilità di ritorno, chiusi in una morsa d'ignoranza che spaventa lo spettatore medio, protagonisti totalmente pilotati dalla voce fuori campo che come un marionettista riesce a cogliere l'attenzione di un pubblico vario e distratto. Distrazione data dalle luci dei moderni balocchi, pubblico che non vuole vedere ciò che è, cieco davanti alle scomode verità della vita; pubblico che si aggrappa ai pantaloni dei Reality,talent,talk show uccidendo l'anima dell'arte che trova vita negli applausi finali del pubblico di sala.
Ora a te lettore non resta altro che saziare quel minimo di curiosità che spero di averti acceso e ti auguro a modo dei presentatori dei tempi passati una "Buona Visione in compagnia della BRUTTEZZA di Cinico TV".


L.A.




sabato 14 aprile 2012

Le mosche da bar: gli accidiosi del nostro tempo.



L’anno scorso a Londra ho conosciuto un ragazzo di Helsinky, Ted. Una sera siamo andati assieme ad un concerto dei Royal Republic, un gruppo svedese che faceva tappa a Camden.
Il pub dove si sono esibiti si chiamava Barfly.

Un paio di pinte dopo il concerto, Ted mi disse che la prima volta che era stato lì l’aveva portato, qualche mese prima, la sua ex, fanatica di Bukowski. Avevano esagerato un pò troppo con le birre, tanto che lei era tornata a casa con un altro e lui cacciato in un bus notturno dal buttafuori.
"Damn..Bukowski aveva capito tutto dalla vita e dalle donne, inutile fare le cose per bene a questo mondo, meglio sedersi ad aspettare che le cose ci cadano addosso dal cielo..magari con un buon bicchiere di birra in mano! Cheers, a Charles!".
Neanche a dirlo, appena tornai a casa corsi a cercare i romanzi dello scrittore. Lessi tutto d’un fiato Post Office, Storie d’Ordinaria Follia e finalmente Barfly, l’ubriacone, la mosca da bar.


Il romanzo, di una crudezza e immediatezza tipica di Bukowski, narra delle peripezie di Henry Chinaski, alter ego di Charles, "tra i ventisette e i trentacinque, ma già bruciato dalla vita."
Henry, senza fissa dimora, senza lavoro, ragazze né hobbies tenta di fare lo scrittore; ma più di tutto gli piace bere. Gli piace ubriacarsi, stare seduto al bar ad aspettare che la vita gli scivoli via, che cada dal cielo un assegno di un lavoretto arretrato o che una sua poesia venga pubblicata in un giornale underground.
La sua vita non ha un senso, la sua vita esiste dall’apertura alla chiusura del bar, "in questo modo non devo guidare una macchina, non devo timbrare il cartellino, non devo farmi coinvolgere dalla società."
Oltre che di scrittore fallito, Henry Chinaski ha la fama dell’attaccabrighe, dell’ubriacone molesto: ogni sera trova un pretesto per stuzzicare e fare innervosire Eddie, il barista notturno, finché questo non lo stende di botte lasciandolo nel vicolo dietro al bar, mezzo tramortito.
Dal personaggio di Henry Chinaski, -a mio avviso-, non traspare una tristezza
rabbiosa, tipica della maggior parte dei barboni con la faccia segnata dalla povertà e dalla strada; Henry, in maniera ironica e quasi divertente, riesce a portare in secondo piano le disgrazie che gli accadono, dietro quella maschera "da duro" fa emergere una dolcezza di personalità e di carattere.
 
Sarà per questa tenerezza nascosta che Wanda, "già oltre la trentina, e con una capacità di ingurgitare alcolici persino superiore a quella di Chinaski" a poco a poco conoscendolo e frequentandolo si innamorerà di lui.
"Henry devo dirti una cosa: non ho intenzione di innamorarmi, non voglio passarci più attraverso quell’esperienza." 

"Non preoccuparti, nessuno si è ancora innamorato di me."

Barfly nel 1987 è diventato anche un film diretto da Barbet Schroeder e interpretato da Mickey Rourke e da Faye Dunaway.
In una scena del film, dopo che Rourke viene ridotto ko da Eddie, c’è una lunga ripresa del bancone del bar e dei clienti, le mosche da bar, rimaste dopo l’orario di chiusura per l’ultimo bicchierino. In un angolo, di spalle si intravvede anche Charles Bukowski, birra in mano, stanco e ubriaco, annoiato e indifferente.
Seduto ad aspettare.
Ancora ad aspettare.




A.L.
lettura consigliata: Barfly Charles Bukowski (1987)
visione consigliata: Barfly diretto da Barbet Schroeder (1987)

Un amore viciouso - III vizio capitale: lussuria


«I hope someone will love me as much as Sid loved Nancy» (cit.)


Ci sono molti modi per dimostrare amore alla propria ragazza: c’è chi compra dei fiori, chi dei cioccolatini, chi organizza una bella cenetta, e altre cose di questo tipo. Ma c’è anche chi ti urla tutto il suo amore conficcandoti un paio di coltellate nel petto. Questo non è un modo ordinario di dimostrare amore? E’ vero, ma chi lo ha mai detto che Sid Vicious era un tipo ordinario?
John Simon Ritchie non era sicuramente un ragazzo come tutti gli altri, e questo forse a causa di un’infanzia tutt’altro che serena: una madre tossicodipendente e un padre che poco dopo la nascita del figlio scappa a gambe levate non possono essere considerati proprio dei genitori modello.
Ma per fortuna che a questo mondo esistono gli amici: a Londra il giovane John
Simon incontra, a metà degli anni ‘70, John Lydon, il quale capisce subito che l’amico ha stoffa da vendere, esattamente in che cosa non lo sa, ma sente insomma che John
Simon ha un qualcosa che conquista, e decide allora di farlo entrare nel suo gruppetto. Il gruppetto di Lydon aveva un nome davvero irriverente, Sex Pistols. Mah, chi mai avrebbe puntato su questi che si facevano chiamare Pistole del Sesso? In ogni caso, Lydon crede che l’amico sia perfetto nel ruolo del bassista, ciò che gli manca è solo un bel soprannome: Vicious. Si, Sid Vicious gli dona davvero. Il basso ovviamente Sid non lo sa suonare, ma che importa, il ragazzo colpisce solo a guardarlo. Magrissimo, con quel lucchetto sempre al collo e quel giubbotto di pelle, emana un fascino degradante.
E’ quello che deve aver pensato Nancy Spungen quando lo ha visto la prima volta a casa di amici. Tra i due è amore, quell’amore che Nabokov avrebbe definito «a prima vista, ad eterna vista, ad ultima vista».
Nancy non era sicuramente una ragazza come tutte le altre: era un pò disturbata, e non si divertiva facendo quello che la maggior parte delle ragazze della sua età facevano, a lei piaceva fare la groupie, e anche farsi di eroina. Insomma, la ragazza perfetta per Sid. I due si amano, oh si eccome se si amano. Sempre insieme, sempre appiccicati, sempre a cercare qualche sballo, sempre ad iniettarsi eroina.
Nancy non piace agli altri Pistols, che la accusano di trascinare Sid in un inferno di sesso e droga, di allontanarlo dal gruppo, ma Sid non ne vuole sapere di lasciare la sua donna, non ci pensa minimamente: quei capelli biondi, quel trucco pesante, quelle calze strappate gli hanno portato via il cuore. Non più solo Sid, ma Sid e Nancy, quasi un’unica parola, un’unica immagine.
Nell’agosto del ‘78 i due si trasferiscono a New York e vanno a vivere al Chelsea Hotel. Sid è felice perché è lontano da tutti quelli che lo vogliono separare dalla sua Nancy. In quella camera d’albergo, la numero 100, si sente in paradiso, solo loro tre: lui, lei e la droga. Ma il paradiso fa presto a diventare inferno. Nel bagno di quella stessa stanza, la mattina del 12 ottobre 1978 Nancy Spungen viene trovata morta in un lago di sangue: un bel paio di coltellate le avevano dilaniato il corpo.

A dare l’allarme fu proprio Sid, che però, in stato confusionale a causa dell’abuso di droga, non ricordava bene cos’era successo durante la notte. Fece varie affermazioni, una più contraddittoria dell’altra: prima disse che era stato lui ad uccidere Nancy, poi disse invece che lui non c’entrava nulla, che era stato qualcun’altro ad ammazzare il suo amore.
Povero ragazzo, aveva il cervello e le vene piene di eroina, come poteva dire qualcosa di sensato? Peccato però che nella stanza venne trovato un coltello con una lama da 13 cm insanguinato e con le impronte di Sid, che fu quindi arrestato e poi rilasciato in attesa di processo. Sid, solo senza la sua Nancy, che cosa poteva fare? Rifugiarsi nell’unica cosa che lo legava ancora a lei, la droga. Sid Vicious venne trovato morto per overdose di eroina il 2 febbraio 1979.
Oh Sid, oh Nancy! Se foste vissuti nel XIII secolo sareste stati sicuramente collocati da Dante nel secondo cerchio dell’Inferno, dove vengono puniti i lussuriosi, le cui anime sono trascinate da una tempesta turbinosa e senza tregua.
vv. 38-39, canto V, Inf.
«[...] i peccator carnali / che la ragion sommettono al talento»
Ma sono davvero biasimabili coloro che hanno fatto prevalere l’istinto sulla ragione?
Coloro che hanno rinunciato al buon senso pur di divenire un tutt’uno con la persona amata? Per molti lo sono. Ma io sfido chiunque a non aver mai provato un pò di invidia per quell’amore - forse malato, forse morboso ma comunque amore - che legava Sid alla sua Nancy.


D.C.

 
 
visione consigliata: Sid e Nancy diretto da Alex Cox (1986)

John Doe, il giustiziere del peccato.


John Doe non è un killer qualunque. John Doe ha un lavoro da compiere. Le sue vittime apparentemente non hanno nulla in comune tra di loro tranne due cose: sono
peccatrici e sono morte tra atroci sofferenze, vittime del loro stesso peccato.


"Vediamo un peccato capitale in ogni angolo di strada, in ogni abitazione, e lo
tolleriamo perché lo
consideriamo comune,
insignificante…adesso basta però, servirò da esempio".

John Doe è convinto di poter cambiare il mondo, di sconfiggere il male con il male. Non perde mai la lucidità, è freddo e meticoloso nei suoi delitti, cura il minimo particolare e non lascia nulla al caso. Non lascia nemmeno impronte, indizi, ma solo indovinelli di alta estrazione letteraria. È impossibile ammirarlo, ma è difficile biasimarlo, le sue vittime non hanno meno colpe di lui. Può sembrare schizzato, malato, ma la sua tesi è che la società è malata, insensibile e depravata, che ignora o finge di ignorare di essere invasa dal vizio: c’è bisogno di qualcuno che dia una ripulita.
William Somerset è un detective prossimo alla pensione, ancora sette giorni e finalmente si lascerà alle spalle una vita di lotta contro la feccia della città. È il suo ultimo caso, non lo vuole seguire ma ci si trova dentro come in un vortice. Nel vortice ci finisce anche David Mills, l’ultimo arrivato. Somerset e Mills non si piacciono, sono opposti ma complementari; perfezionista e scontroso il primo, impulsivo e irascibile l’altro.
Questo caso li sta svuotando, non riescono a venirne a capo, non possono. John Doe è impaziente, il mondo deve sapere, lui è solamente la mano di una mente superiore. "Non ho la pretesa che tu approvi quello che ho fatto, ma non l’ho scelto io: sono stato scelto".
Seven rappresenta l’archetipo del thriller angosciante, una trama (a suo tempo)
originale che ipnotizza lo spettatore fino al finale pirotecnico. David Fincher con questo film segna indelebilmente la sua carriera, diventando uno dei migliori registi del filone thriller. La cornice del film è riempita alla perfezione dai tre attori principali, ognuno a suo modo straordinario. Si sprecano le parole di elogio per Kevin Spacey, il vero
protagonista del film di cui vediamo il volto solo nella mezz’ora finale, dove John Doe vuole dare l’ultimo tocco sensazionale alla sua opera. Calma assoluta nel modo di parlare, nei movimenti, inespressività del viso che lo fanno annoverare tra i killer
cinematografici più riusciti di sempre. Brad Pitt e Morgan Freeman personificano in modo perfetto la diversità dei due
detective, differenti in tutto ma uniti da John Doe, sempre lui, al vertice del triangolo. Per Pitt, in modo particolare, questa rappresenta una delle sue migliori interpretazioni degli anni ’90 insieme a Fight Club (sempre con David Fincher alla regia), L’esercito delle 12 scimmie, e la curiosissima apparizione in Una vita al massimo.
Un cadavere alla volta, un vizio alla volta, seguiremo Somerset e Mills verso le macabre scoperte cui andranno incontro, e ci faremo un’idea sempre più controversa di John Doe… alla resa dei conti, ira e invidia si scontreranno, quale vizio prevarrà sull’altro?
"Oh…non lo sapeva".


M.F.
 


 
Visione consigliata:


Seven (1995) di D.Fincher
The game – Nessuna regola (1997) di D.Fincher
 Fight Club (1999) di D.Fincher

Tiziano e la punizione dei superbi.


Tiziano, La punizione di Marsia, 1570, 212x207, olio su tela,
Kunsthistorisches Museum, Vienna
 
Il dipinto, uno degli ultimi di Tiziano, rappresenta l’apogeo a cui si può arrivare per aver osato sfidare una divinità: il sileno Marsia aveva avuto la superbia di credersi più abile di Apollo nella pratica dell’ aulòs, nel suonare il flauto.
Tiziano riesce a rendere con pennellate cariche, veloci e appositamente poco curate, tutta la tensione del momento: Marsia è punito per la sua alterigia e, appeso ad un albero come una preda di caccia, viene scorticato vivo dallo stesso Apollo.
La presenza di vari spettatori sulla scena non riesce ad attenuare il dramma, che anzi si avvicina sempre più a una natura teatrale e didascalica: osservare, stupirsi e commuoversi, pensare (Re Mida in atteggiamento contemplativo sulla destra) e infine, come ultima tappa, capire e imparare. Tiziano con questo dipinto ottiene un risultato pari a quello della grande tragedia greca: la caduta verso il basso del personaggio, punito per aver voluto troppo e per aver osato innalzarsi al di sopra della sua condizione, mettendosi al pari degli dèi.
E’ una grande lezione di umiltà che, nonostante la lontananza di forme e stili, può avere forse ancora un forte significato.
G.D.C.

Ira, il golpe del Mali

L’espressione “terzo mondo”, coniata nel 1952, sta ad indicare l’insieme dei Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati che si contrappongono a quelli del “primo” e del “secondo” mondo. Con la diffusione, dopo il ’45, dell’ industrializzazione crebbe la fiducia nella possibilità di poter riassorbire il distacco tra i mondi, di poter esportare il proprio modello di crescita e di modernizzazione occidentale anche a quella parte di terra. Nonostante aiuti e investimenti, politiche agricole e industriali, già nel corso degli anni Sessanta la forbice delle differenze tra Nord e Sud si allargò sempre più, tanto che presto alcuni Paesi poveri risultarono legati ai ricchi in base ad un rapporto di subordinazione e di sfruttamento economico che quasi ne rafforzò l’arretratezza piuttosto che combatterla. Questa debolezza, unita ad un desiderio di indipendenza, non fece che aumentare la diffusione di un sentimento nazionale in tutti quei territori che presto, venendo in contatto con ideali di giustizia e libertà, diedero avvio ad un processo di decolonizzazione.
Tutto ciò accadde, tra i diversi paesi, anche in Mali. Colonia francese dal 1860 circa, esattamente un secolo dopo ottenne l’indipendenza e l’ascesa al governo del primo presidente della nazione Modibo Keita. In poco tempo però Keita mise in ginocchio l’economia del Paese venendo deposto dopo un sanguinoso colpo di stato nel 1968. La storia si è ripetuta per Moussa Traoré nel 1991 e si è conclusa nel 1992 con le prime elezioni democratiche e l’elezione di Konare che, alla fine del mandato, venne sostituito nel 2002 da Amadou Toumani Touré che, rieletto nel 2007, nel rispetto della Costituzione non si è candidato per il 2012. Ma la storia, si sa, si ripete, si ripete, si ripete e anche A.T.T. ha subito il fatidico golpe lo scorso 22 marzo. Guidato da Amadou Sango, il Comitato nazionale per la restaurazione della democrazia e dello stato ha denunciato il governo di incompetenza e di non aver saputo sedare la ribellione dei tuareg a nord del Paese quindi ha preso il controllo della presidenza, sciolto il Parlamento, arrestato alcuni ministri, sospeso la Costituzione e annunciata una di nuova. ll golpe non avrebbe fatto vittime civili ed i militari avrebbero preso Bamako semplicemente sparando in aria, ma l'ormai ex presidente Touré ed il suo entourage non si trovano più, nessuno sa dove siano fuggiti o dove siano stati portati.

La comunità internazionale, la Francia, gli Usa, gli occidentali in generale e l'Onu stesso hanno condannato il colpo di Stato sottolineando come questo metta a rischio tutta la regione. Non bisogna però dimenticare che il golpe del Mali è una diretta conseguenza della guerra in Libia e del saccheggio delle armi che hanno effettuato i mercenari tuareg arruolati nell'esercito di Gheddafi. Con la caduta del dittatore infatti è aumentato l’afflusso dei profughi verso paesi già economicamente fragili; tra queste persone è emerso anche un gran numero di tuareg che hanno, per l’appunto, ridato impulso al movimento secessionista in Mali del Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad. Ciò, unito alla possibilità che essi abbiano il sostegno dei trafficanti di droga e di Al Qaeda nel Maghreb islamico, ha causato l’abbandono di molti dei propri villaggi per fuggire verso gli stati confinanti. Non bisogna quindi dimenticare che tutto il mondo ha la sua fetta di responsabilità in quella che potrebbe divenire una guerra civile che rischia di infiammare nuovamente anche l'area delle miniere di uranio del vicino Niger e del petrolio del sud dell'Algeria e della Libia. A tutto ciò bisogna aggiungere la possibilità che l’emergenza degli sfollati e le conseguenze della siccità sfocino in una gravissima crisi umanitaria in tutta la regione.
Sebbene le sorti del golpe siano ancora incerte, è sicuro che il caos di Bamako non fa altro che facilitare la rivolta del nord est del Paese e, paradossalmente, il rischio di un esito opposto a quello voluto.
Per definizione il termine ira indica uno “stato psichico alterato, in genere suscitato da uno o più elementi di provocazione, capace di rimuovere alcuni dei freni inibitori che, normalmente, stemperano le scelte del soggetto coinvolto. L'iracondo è caratterizzato da una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno o (in alcuni casi) verso se stesso”.
Per definizione la situazione del Mali e del suo popolo può essere vista come preda dell’ostilità e della tensione di quei pochi dimentichi delle proprie responsabilità nei confronti di sè stessi e degli altri.



S.T.

sabato 7 aprile 2012