L'esigenza di creare un'arte capace di dare una definizione
dell’interiorità umana é la paranoia di ogni artista. Se poi si parla
dell'architetto catalano Antoni Gaudí il concetto appare ancora più evidente.
Nato nel 1852 Gaudì prende le distanze dall'architettura funzionale, reclamando
il diritto di renderla più metafisica e quindi più accessibile all'inconscio.
Il Parco Guell è il primo di tanti manifesti
dell'incredibile fantasia di questo artista (forse è meglio chiamarlo così) che
si dispiega in una serie di invenzioni talmente sconnesse dai tradizionali
canoni architettonici dell'epoca da catapultarci in un'esperienza che
scandaglia i sentimenti, che coinvolge l'anima e il corpo, fino a mescolarli. Per comprendere la sua dimensione fantastica e
interiore, anche Park Guell va fisicamente percorso, materialmente toccato,
lungamente indagato: è un'esperienza che scandaglia i sentimenti, che coinvolge
l'anima e il corpo fino a mescolarli.
Poiché l'architettura di Gaudí parte da bisogni interiori ed
affettivi, essa va fisicamente percorsa, materialmente toccata, studiata
ossessivamente, al fine di trovare un linguaggio non usuale. La paranoia
dell'architetto (o artista) é l'insoddisfazione interiore; curata morbosamente
in una dimensione creativa intrecciata nella ragione.
Il linguaggio di Gaudì va letto anche come una devozione
sacrale per la Natura e come un ardente amore per il suolo natio, il tutto
intriso da intrigante simbolismo materico, fatto di teoremi celesti e di pietre
viventi.
Un mondo ricco, ma chiuso al tempo stesso perché troppo
personale per essere direttamente trasmissibile. La dimensione espressiva di
Gaudí può portare a diverse teorie: dall'ammirazione immediata dei suoi
elementi più appariscenti, si può passare all'incomprensione più assoluta,
propria delle correnti razionalistiche, che hanno sempre travisato il
modernismo come scimmiottamento architettonico. Ma perché questa ambiguità di
linguaggio? Perché una paranoia dovrebbe scatenare altre paranoie?
L' architetto, pensa dapprima all'effetto che intende raggiungere,
poi l'immagine da creare. Il risultato è pur sempre una sensazione: può essere
di paura o di meraviglia, di timore verso Dio o cieca fede per quest'ultimo.
Ciò viene raggiunto attraverso il materiale e attraverso la forma, ed ognuno di
questi possiede un proprio linguaggio. L'ambiguità gaudiana in realtà si rivela
dunque un'irripetibile unicità.
Ciò è evidente in casa Batlò, dove la stessa materia di base
(la pasta di vetro) si diversifica in vibrazioni cangianti, offrendo una
molteplicità di impressioni: dalla fioritura primaverile alla visione cosmica,
per arrivare ad oniriche aperture ossee, cartilagini, circondate da balconi che
tanto ricordano gli occhi di un teschio. Forse carne in putrefazione? Simboli
di vita e di morte convivono nella paranoia dell'artista catalano, fatta di
mortalità e spiritualità Una "casa delle ossa" che connette
attraverso sottilissime trame mistero e fantasia.
Ma non c'é nessun Gaudì senza la Sagrada Família, divenuta
il suo pensiero dominante, la sua ossessione l'unica via di salvezza, forse,
dalla propria morte, un omaggio a Dio. La Sagrada Família è concepita come una
grande opera mistica, dal forte simbolismo, che ben si sposa al delirio delle
forme intrecciate nervosamente nella decorazioni.
Si rende dunque più intrigante il contrasto tra la
dimensione spirituale e quella terrena, tra ciò che resta vivo e ciò che è
definitivamente morto.
Un'opera da tramandare negli anni e nelle generazioni, un
estremo tentativo di lasciare una parte immortale di se stessi in questo mondo.
Gaudì muore nel 1926 lasciandoci un nuovo concetto di monumentalità.
La lezione gaudiana risiede quindi in un'ansiosa (e
paranoica) ricerca di espressività, nel bisogno di restituire all'architettura
una funzione rappresentativa, recuperando il concetto primordiale dell'arte
come autosuperamento dell'esistenza.
M.B.
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