Kalle, Bjorn, Lundmaar e Fredrik. Quattro come quattro sono
i nostri peggiori timori, quattro come quattro sono le nostre principali paure.
Quattro perché ognuno di loro può sembrare una di esse guardandoli. Quattro
perché è quattro il numero della fine per tutti gli occidentali. Quattro perché
è la sintesi dei nostri mali. Quattro perché sono le nostre dimensioni, anche
se undici sono dimostrate, quattro ne percepiamo.
Kalle, castano, dai lunghi capelli mossi, dalla robusta
struttura fisica e dotato di una buona altezza. Bello, di vent’anni. Il suo
viso ricorda quello di un angelo, che scivolato si chiude nel dolore
dell’inferno, ma rimane pur sempre, Lucifero, bello intelligente, seppur
nell’invidia. Dalla pelle chiara, dallo sguardo vitreo, sebbene gli occhi siano
castani, quasi verdi. Dalla bravura immensa nella musica, dalla scarsa
autostima. Dall’odio più profondo, per se stesso, a volte, per gli altri. Si esclude
dal parlare come se fosse una pestilenza la sua voce. Come se fosse un
incurabile morbo tutto ciò che pensa. Chiuso e silenzioso come un virus,
certamente freddo, ma capace di scaldare come un’ infezione. Kalle,
d’immancabile ausilio al mondo, per capirlo. Kalle, come il tempo può spurgare
ogni malessere, come il tempo invece annienta nella cancrena ogni essere
vivente. Kalle nella sua malattia la nostra vita. Lundmaar, magro fino alle
ossa. Si riescono a scrutare, guardando nella sua pelle dalle sue braccia.
Lunghi capelli castani, biondi un tempo, forse. Gli occhi verdi, il viso
scavato dalla fame, dai pensieri sulla vita, dallo studio di essa, dal proporre
una cura per se stesso e per gli altri. Tanto lunga la sua esistenza sul mondo,
tanto la lunghezza della sua chioma. Consumato dai bruciori gastrici per ogni
centimetro di ogni suo capello. Come tutti noi, con tal ulcera, al posto suo,
già li avremmo persi tutti. Fine e magre le dita delle sue mani, scavate le
fosse degli occhi. Quasi blu la sua carne, per via dell’evidenza delle sue
vene, rossa solo la sua bocca, come del sangue che solo li si percepisce
scorrere. Bocca usata per proferir parola, sapienza, conoscenza, come dolore su
di esse. Ordinato nella sua figura, come un medico, che cura se stesso,
tralasciando gli altri.

Quattro storie, per quattro uomini. Quattro racconti per
ognuno di loro. Ma è pur vero che in fine, è sempre uno per tutti e tutti per
ogni racconto. Si parla di uomini e donne.
F.M.