Dentro la cornice
Come pietra paziente è un film diretto da
Atiq Rahimi e tratto dal romanzo Pietra di pazienza dello stesso Rahimi,
pubblicato in Italia da Einaudi.
Il film è ambientato in Afghanistan, in uno
scenario esterno di violenza, bombardamenti e follia.
Ma sono poche le scene che mostrano la
guerra “da fuori” o che si soffermano sulla città distrutta perché fin
dall’inizio appare chiaro che il dove e il quando sono un elemento accessorio,
sono come una cornice, potrebbero benissimo non esserci.
Non a caso la maggior parte del film è girato
all’interno di una stanza, dove la protagonista, l’attrice Golishifteh
Farahani, deve accudire suo marito, un eroe di guerra ora in coma. Spesso la macchina da presa indugia sui primi
piani, cattura gli sguardi, le voci di una donna che inizia un percorso di
scoperta di sé attraverso le parole.
Infatti l’attrice - che tra l’altro nel film
non ha nome, come se rappresentasse non una donna ma tutte le donne - inizia a
confessare al marito, incosciente e alimentato tramite una flebo, particolari
della propria vita che mai avrebbe pensato di poter rivelare.
Il marito diventa quella che per la
tradizione popolare afghana si chiama “synguè sabour”, la pietra paziente, cioè
una pietra magica che noi poniamo davanti a noi stessi per sussurrarle tutti i
nostri segreti e le nostre sofferenze… finché non va in frantumi.
Il film ha queste due dimensioni, una di
cornice e di sofferenza straziante esterna, dove la guerra uccide e non
risparmia, un’altra di sofferenza interna, lungo un percorso doloroso di
libertà.
Ma possono le parole rendere davvero liberi?
È ancora possibile cercare la vita e la sincerità in un mondo di violenza e
morte?
Visione consigliata : Come pietra
paziente (Synguè Sabour), 2012, diretto da Atiq Rahimi
Lettura consigliata: Atiq Rahimi, Pietra
di pazienza, Einaudi, 2009
G.D.C.
3 commenti:
Ciao Giulia!
Premesso che non sono ancora riuscito a vedere il film - né ho letto il libro -, vorrei però proporti una lettura differente, rispetto ad un passaggio del tuo interessante articolo.
Scrivi che gli esterni, che mostrano in modo diretto lo scenario di guerra che incornicia la dimensione privata, sono sostanzialmente accessori - una mera cornice - e potrebbero non esserci. La vicenda che interessa davvero al regista/sceneggiatore sarebbe invece quella, privata, della moglie che prende coscienza di sé come donna ed individuo, in un contesto culturale (di lungo periodo) e contingente che la vede marginale, emarginata, negata.
Ora, a me sembra che potrebbe essere interessante comprendere il film a partire da una messa in crisi della distinzione tra pubblico e privato (tra gli 'esterni' e gli 'interni'): la presa di coscienza della protagonista è sua ma - come tu stessa scrivi - di tutte le donne. Meglio: di ogni donna.
In questo senso, gli esterni, marginali in senso letterale - come una cornice - sono invece un tratto intimo della vicenda domestica: una disappearing frame, presente proprio nel suo ritrarsi di fronte al nostro tentativo di indicarla.
Si tratta di un dispositivo narrativo che mi ricorda due film iraniani - About Elly e Una separazione - in cui, allo stesso modo, attraverso vicende private si racconta una situazione politica, senza che le prime siano subordinate alla seconda né viceversa. In un contesto oppressivo, l'arte - in questo caso, il cinema - diventa il linguaggio privilegiato per raccontare, decostruire, denunciare, proprio perché c'è bisogno di un discorso obliquo, laddove quello diretto sia vietato.
Grazie ancora.
M.P.
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