Alfred de Musset (Parigi, 1810 – 1857)
incarna l’immaginario del dandy bruciato dall’alcool e morto piuttosto giovane
che si trovò a constatare il vuoto che si era creato attorno a sé. Senza
riuscire ad accusare nessuno, Musset cadde in una sorta di ‘depressione
culturale’. Tutta la sua vita, 47 anni di vita, si inserisce in una ‘cornice
del presente’: «presente che separa il passato dall’avvenire e che non è né
l’uno né l’altro e che assomiglia a tutti e due in un sol tempo, ed in cui non
si sa, ad ogni passo che si fa, se si sta camminando su un seme o su una
rovina. Ecco in quale caos si dovette scegliere allora; ecco ciò che si
presentava a dei “figli” pieni di forza e audacia».
Ciò avvenne, in Francia, in seguito
all’aumento delle tasse sancito da re Carlo X nel 1830 con un editto
finanziario che si proponeva di rimpolpare le casse dell Stato; avvenne in
seguito alla scoppio della rivoluzione di luglio e alla deposizione del re a favore
di Luigi Filippo, primo a farsi nominare “Re dei francesi”. Musset trasformò
questa situazione in arte e esordì con successo con l’opera teatrale di
ambientazione storico- fiorentina Lorenzaccio (1833).
La sua opera più ‘famosa’, però, è La confession d’un enfant du
siècle (1836), un romanzo a sfondo autobiografico in cui Musset emerge come
lo scrittore/ attore dalla celeberrima storia d’amore che lo unì a George Sand.
La confession inizia come una sorta di storia campione che vale ad
emblema del dandismo, di una generazione bruciata e disincantata che si trovava
a riempire i vuoti con l’abuso di alcool e droghe. Egli, nell’incipit del suo
romanzo, scrive: «Colpito, ancor giovane, da un’abominevole malattia morale,
racconterò quello che m’è successo durante tre anni. Se fossi malato io solo,
non ne farei parola; ma poiché molti altri soffrono dello stesso male, scrivo
per loro.»
Musset, l’uomo dilaniato, prende infine la
strada della ‘dedizione’ all’assenzio e pronuncia la parola poetica del totale
disimpegno, anche in termini di vita ‘pratica’. Egli vive con un inesprimibile
malessere la sua condizione di giovane, si sente abbandonato agli stupidi,
consegnato all’ozio e alla noia: « la vita al di fuori era così pallida e
meschina; l’ipocrisia più severa regnava
nei costumi e l’allegria era scomparsa». Musset sembra essere lo scrittore che
vive con disperazione anche la propria condizione di poeta/romanziere, come
scrive in La Muse: «le loro declamazioni -dei poeti- sono come delle
spade che tracciano nell’aria un cerchio abbagliante, ma dal quale cade sempre
qualche goccia di sangue». Musset è stato definito per questo il “poeta
pellicano” che, cercando il nutrimento per i suoi piccoli -allegoricamente, per
il suo pubblico- trova solo il vuoto e il deserto; così infine sceglie di
sdraiarsi ed aprire il proprio cuore in modo che i piccoli pellicani/ lettori
possano beccarlo e vivere di sé.
Un canto disperato e bellissimo in cui, del
pellicano, spiega: «l’oceano era vuoto e la spiaggia deserta, come cibo egli
offre il suo cuore! triste e silenzioso steso sulla pietra condivide con i suoi
figli le viscere di padre.»
S.T.
Lettura Consigliata: La confessione di un
figlio del secolo, Alfred de Musset (1936)
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