Gorizia, 1962. Il medico Franco Basaglia entra in contatto con l’ospedale psichiatrico della città, con un manicomio. L’impatto si rivela penetrante, prepotente e poco tempo dopo, in Basaglia, ribolle il fuoco della rivoluzione: rifiuto delle forme di contenzione fisica, dell’elettroshock, apertura dei manicomi agli altri reparti ospedalieri, ai rapporti umani, al personale, al riconoscimento dei diritti e della necessità di una vita di qualità.
In Che cos’è la psichiatria del 1967, egli scrive:
«La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’ essere».
La battaglia di Franco Basaglia portò alla stipula della legge n. 180, la legge del 13 maggio 1978 che sancì la chiusura dei manicomi. La sofferenza mentale del paziente venne finalmente riconosciuta, non rimossa; si decise che il malato doveva essere curato in una comunità terapeutica così da poter poi essere reinserito nella società, non internato perchè considerato pericoloso.
Fino a quel momento i manicomi erano funzionati anche come delle vere e proprie carceri per persone socialmente scomode, diverse; partendo dalla devianza era possibile controllare, contenere. Contenere individui scomodi e diversi, solo determinati individui, perchè omosessuali, diversamente abili, eccessivamente attivi, individui che parlavano troppo, che facevano rumore. Mi viene in mente quel film di Clint Eastwood, Changeling, film tratto da una storia vera accaduta a Los Angeles nel 1928, in cui la protagonista C.Collins, interpretata da una commovente Angelina Jolie, venne internata per essersi troppo rumorosamente battuta riguardo alla sparizione del suo unico figlio Walter.
Per il fatto che le Regioni del nostro Paese, che le famiglie dei malati, che l’Italia stessa non era pronta a tale provvedimento, ancora oggi alcuni parlano di “fallimento della legge Basaglia”; ed esempio, molti dei malati che si erano ritrovati con le spalle scoperte in famiglia sarebbero finiti per strada a fare i barboni. Tra questi, con gli innocui, vi sarebbero stati anche i più aggressivi e pericolosi.
Oggi, a quasi 35 anni dall’aver compiuto quello che comunque io considero un grandissimo passo avanti in materia di diritti umani, si pone il “problema” degli OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. In Italia ne esistono sei e si trovano nelle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Sicilia; questi, dalla metà degli anni Settanta, hanno sostituito i manicomi criminali e, in base al decreto “svuota carceri” approvato dal Senato a gennaio di quest’anno, dovranno definitivamente essere chiusi entro il 31 marzo 2013.
La dimensione detentiva, quasi carceraria, ha sempre prevalso in questi istituti per i quali finalmente ne è stata proposta una curativa. Questi manicomi, popolati da coloro che talvolta sono stati trattati come dei “rifiuti umani e sociali”, verranno sostituiti da luoghi che assumeranno un carattere più strettamente ospedaliero e che si affideranno alla sanità regionale.
Anche riguardo a quest’ ultima delibera, però, sono emerse molte perplessità: vi si vede il rischio di riesumare delle strutture manicomiali territoriali, di caricare le Regioni di un ruolo che non sarebbero in grado di gestire, poichè ne mancherebbero le condizioni, di pesare ulteriormente sulle famiglie dei malati; al momento pare che gli italiani non possano far altro che aspettare.
Nel suo volume del 1967, Corpo e istituzione, Franco Basaglia si rifà ad una “favola” che riesce a sottolineare in modo efficace la “condizione istituzionale del malato mentale”, come l’istituzione manicomiale si insinui nell’ intimo dell’animo umano e piano piano lo distrugga, lo faccia proprio. Egli scrive:
«Una favola orientale racconta di un uomo cui strisciò in bocca, mentre dormiva, un serpente. Il serpente gli scivolò nello stomaco e vi si stabilì e di là impose all’uomo la sua volontà, così da privarlo della libertà. L’uomo era alla mercé del serpente: non apparteneva più a se stesso. Finché un mattino l’uomo sentì che il serpente se n’era andato e lui era di nuovo libero. Ma allora si accorse di non saper cosa fare della sua libertà: “nel lungo periodo del dominio assoluto del serpente egli si era talmente abituato a sottomettere la sua propria volontà alla volontà di questo, i suoi propri desideri ai desideri di questo, i suoi propri impulsi agli impulsi di questo che aveva perso la capacità di desiderare, di tendere a qualcosa, di agire autonomamente. In luogo della libertà aveva trovato il vuoto, perché la sua nuova essenza acquistata nella cattività se ne era andata insieme col serpente, e a lui non restava che riconquistare a poco a poco il precedente contenuto umano della sua vita”».
Credo che ciò che manca e che soprattutto sia mancato a queste persone sia la libertà di poter vivere la propria esistenza così come è dato loro di vedere il mondo. Qualsiasi strada verrà presa in questa occasione mi auguro che noi “normali”, al momento giusto, ci ricorderemo di essere tali solo perchè baciati dalla fortuna.
S.T.
Visione consigliata: Changeling (2008) di C. Eastwood
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