Il sedicesimo round di Rubin “Hurricane” Carter
Philadelphia, 14 dicembre 1964. Rumore. La folla è imbestialita, i fischi assordanti. Il match valido per il titolo dei pesi medi di boxe si è appena concluso, il verdetto ora spetta ai giudici. Bianchi, naturalmente. Da una parte Joey Giardello, il campione in carica, bianco. Dall’altra Rubin “Hurricane” Carter, lo sfidante, nero. Carter ha nettamente dominato il match, e più volte il campione è andato vicino al knock out. Il verdetto sembra scontato: vince Joey Giardello, bianco.
Da quel momento la carriera agonistica di Carter subisce una parabola discendente che lo porta presto a scomparire dalla scena. Silenzio.
Paterson, New Jersey, 17 giugno 1966. Rumore. Spari nella notte e sirene spiegate irrompono nella calda notte del New Jersey: due uomini sono morti e una donna è rimasta gravemente ferita in una sparatoria avvenuta al “Lafayette bar and grill”, testimoni hanno visto allontanarsi i malviventi su una macchina bianca. Una macchina come quella sulla quale viaggiavano quella notte Rubin Carter e John Artis. I due vengono arrestati, ma nessuno dei testimoni, tra cui un sopravvissuto alla sparatoria, riconoscono in loro gli assassini. Ancora una volta, il verdetto sembra scontato: la giuria, bianca, condanna all’ergastolo i due, neri.
Silenzio. L’”Uragano” nell’isolamento della sua cella si sente come un topo in gabbia, continua ad allenarsi, a sfogare la sua rabbia contro il vuoto e il silenzio. Decide di scrivere una biografia che racconta la sua versione della storia, una versione che la giuria non ha voluto ascoltare: nel 1974 esce così “The Sixteenth Round: From Number 1 Contender to #45472”. Il libro riporta il rumore nella vita di Rubin Carter, un rumore di ribellione e sconcerto per l’ingiustizia che ha sùbito il campione; Bob Dylan renderà immortale la figura dell’”Uragano” Carter dedicandogli Hurricane, forse la più bella canzone scritta dal cantautore. Personalità di spicco, tra cui Muhammad Alì, si muovono per lui. Tutto questo porta ad un secondo processo, tanto chiasso per nulla, il verdetto rimane il medesimo.
Il silenzio della cella ora sembra definitivo per Rubin, un silenzio di tomba. Ma il rumore più forte arriva dal cuore di un ragazzino di colore, Lesra Martin, che vive in Canada con la sua famiglia adottiva. Lesra crede alla versione di Carter e si sente in dovere di fare qualcosa per aiutarlo; gli scrive, lo va a trovare in carcere, e sarà quel ragazzino innocente a risvegliare nell’”Uragano” assopito la voglia di rialzarsi, di combattere ancora una volta l’ultimo round. Così, insieme alla sua famiglia, si trasferisce vicino a Rubin e insieme ricostruiscono passo per passo, menzogna per menzogna quella terribile notte di giugno.
La falsità delle accuse appare subito evidente, il processo era stato corrotto così come i due principali testimoni oculari, Alfred Bello e Arthur Dexter Bradley. “Non dimenticarti che sei bianco, farai un favore alla società”, parafrasando Bob Dylan. Lesra e la sua famiglia adottiva, insieme all’”Uragano” rinato, ottengono un processo d’appello alla Corte Federale: finalmente, Rubin ottiene giustizia, viene rilasciato e la sua condanna cancellata per “evidenti pregiudizi razziali”. È il 1985, Rubin Carter è stato 18 anni in cella per un reato che non aveva commesso.
1993. Rumore. Il World Boxing Council consegna la cintura di campione del mondo dei pesi medi a Rubin “Hurricane” Carter. Con 29 anni di ritardo rispetto a quella notte di Philadelphia dove tutti, tranne i giudici di gara, avevano proclamato Rubin vincitore. Il più piccolo riconoscimento ad un uomo che, nonostante tutto, nessuno è riuscito a mettere al tappeto. Ma nessuna cintura potrà mai cancellare quei 18 anni di dolore.
M.F.
Visione consigliata: nel 1999 è uscito un film sulla vicenda in questione, Hurricane – Il grido dell’innocenza di Norman Jewison, interpretato da Denzel Washington. Uno straordinario affresco emotivo che, tra realtà e finzione, non può lasciare indifferenti.
Ascolto consigliato: chiunque abbia scritto qualcosa su Rubin Carter dopo il 1975 ha un debito di riconoscenza verso la prosa di Bob Dylan nella sua Hurricane, il modo migliore di avvicinarsi all’”Uragano” Carter.
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