cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 10 marzo 2012

Marina Abramovic “Balkan Baroque”

“Una volta che sei entrato nello stato della performance, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente.” [Marina Abramovic]

Tre giorni.
Tre giorni in cima ad una montagna sanguinolenta di carcasse di mucca.
Tre giorni passati a pulire ossa di animale.

Quando vidi per la prima volta una performance di Marina Abramovic ero ancora all’università. Era giugno, di primo pomeriggio. Il caldo era soffocante e la luce proiettata sul muro dell’aula in penombra di certo non aiutava l’attenzione degli studenti appena tornati dalle mense.
Nel video, “molto forte ed emotivo” disse la professoressa, c’era lei. Bianca e bellissima. Con una lametta si incideva l’addome a formare una stella, simbolo di femminilità.
Guardai i miei compagni: occhi sbarrati al muro proiettato.
Per me che, alla vista di sangue o di siringhe per prelievi, rischio ogni volta di svenire, fu un duro colpo. Dovetti alzarmi ed uscire dalla stanza.
Fu amore a prima vista.

Marina Abramovic riceve il leone d'oro alla Biennale di Venezia del '97 con la performance Balkan Baroque: un vero schiaffo al mondo occidentale, cieco, che finge di non accorgersi degli orrori causati dalla guerra in Jugoslavia.



Durante l'ideazione e la creazione di questa performance, la Abramovic, non reagisce alla notizia della guerra come farebbe un qualsiasi quotidiano, la tempestività non aiuta gli artisti; piuttosto ne fa un lavoro spirituale, ideale: “Quando ho fatto Balkan Baroque non pensavo solo alla Jugoslavia, era una immagine valida per ogni guerra e ogni paese.” Compito dell’artista è la denuncia per metafore, per immagini forti “a lungo termine”, in maniera “teorica”, senza esprimere opinioni, ma piuttosto regalando una visione personale.
Come a mondare il suo popolo dalle colpe di cui si va macchiando, l'artista passa sei ore al giorno, per tre giorni, a disossare brandelli di carne da ossa accatastate nei sotterranei del padiglione Montenegro della Biennale.
Una performance che logora chi la propone e lascia sconvolto chi la osserva; tra litanie e lamenti, alle spalle dell’artista si susseguono interminabili video che celebrano il suo legame con un paese diviso da terribili guerre. Immagini evocative, a volte forti, crude, ma sempre cariche di spiritualità.

Il lavoro della Abramovic, seppur poco diffuso e poco compreso dalla maggioranza del pubblico non appartenente all'èlite del mondo dell'arte, ha dato il via al capitolo della Body Art.
Alla base sta la ricerca di trasformazioni emotive e spirituali: l'artista si dedica alla creazione di opere che ritualizzano le semplici azioni del vivere quotidiano, suggestive performance che hanno l'obiettivo di portare l'attenzione su tematiche di carattere sociale, politico e culturale.
Il corpo della performer è esso stesso soggetto ed oggetto d’arte: lo stare in prima persona di fronte al pubblico sottolinea il suo intento a veicolare significati tramite il corpo.
Body Art estremizzata.
Giunge ai limiti estremi della resistenza fisica e psicologica, compie gesti estremi di sopportazione, a discapito del proprio fisico.
Azioni fondate sull'esibizione del massimo autocontrollo, della capacità di tollerare ogni sorta di paura, umiliazione, di fatica.
Un’arte di denuncia. Denuncia tramite il proprio corpo, sul proprio corpo.

Pensando alle sue creazioni rimango ogni volta colpito da come il messaggio arrivi subito lampante: l’accusa alle troppe guerre che causano morte e fame, all’avidità di potere, alla misoginia, allo sfruttamento. Credo che nel suo lavoro la Abramovic abbia raggiunto il suo obiettivo: ha creato un’opera d’arte immortale e tutt’ora attuale.

Quando sento nominare "la nonna della performance" - così ama essere chiamata – mi vengono in mente alcune sue qualità: è spirituale, forte, profonda, bella, intelligente, giusta, fortunata, disponibile, aperta, esibizionista, esploratrice, piena d’energia, carismatica...
Riesce a coinvolgere la gente, provocare un giudizio, non lasciando mai nessuno indifferente. Nel mondo dell’arte è sempre stata coraggiosa e controriformista.
Credo che ogni artista che ha poi deciso di adoperare il proprio corpo come “materia” d’arte, debba a lei un tributo.

" Il corpo è il materiale dove le cose accadono”.

È stato proprio amore a prima vista.


A.L.





visione consigliata: Marina Abramovic, “Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful” 1975
Marina Abramovic , “The artist is present” 2012


1 commento:

Anonimo ha detto...

Bellissima artista! Molto commuovente la maniera in cui l'hai descritto. Complimenti!