«Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio».
1968, ispirato al racconto di Arthur Clarke "La sentinella", Stanley Kubrick produce uno dei film più visionari e avveniristici della storia del cinema, che rimarrà un film di assoluto cult per gli amanti del genere fantascientifico.
Confesso che alla prima visione rimasi scosso profondamente e dovetti stoppare il registratore (sì, all'epoca lo registrai in vhs) diverse volte; un po’ per incomprensione un po’ per l'estrema lentezza e intensità delle sequenze. Col tempo riuscii ad assaporare meglio la pellicola: dapprima per quanto riguarda il girato, le scene, le riprese, i costumi e la recitazione, e infine per il profondo significato, a prima apparenza talmente inafferrabile da sembrare assolutamente assente.
La storia narra della nascita e dello sviluppo dell'intelligenza sul nostro pianeta, dalla scoperta da parte di alcuni ominidi di primitive armi che permettono loro di conquistare il territorio in cui vivono, fino ad arrivare alla missione spaziale su Giove cui fanno parte il comandante David Bowman, il suo vice Frank Poole e il supercomputer HAL 9000 – doppiato in maniera magistrale dall’attore Gianfranco Bellini, ritenuto da Kubrick il miglior timbro vocale in assoluto di HAL.
Il fil rouge che lega e scandisce il tempo tra le varie parti del colossal è un monolite nero. Dapprima tra le scimmie, di seguito ritrovato sulla luna durante una spedizione del dott. Heywood Floyd e infine nell’ultima parte del film davanti al protagonista ormai vecchio e morente; questo pragmatico oggetto apre molteplici visioni e suggerimenti sul significato che il regista ci ha voluto passare, un significato, come suggerisce lo stesso Kubrick, aperto e soggettivo.
Quando appare il monolite nero nello schermo si ha un balzo temporale in avanti nella narrazione. È come se venendo a contatto con il misterioso oggetto, l’uomo e la natura, facessero un progresso conoscitivo sovraumano.
Queste scene, giudicate le più realistiche mai girate, sono accompagnate da alcuni pezzi che passeranno alla storia come migliori colonne sonore per film fantascientifico, dalla inquietante “Lux Aeterna” fino alla aliena “Atmospheres” frutto del genio del compositore ungherese György Ligeti.
Durante la visione si scopre che ad HAL, dotato di un’avanzatissima intelligenza che gli consente di colloquiare con gli esseri umani e perfino di provare delle vere “emozioni umane”, viene impartito l’ordine di tenere gli astronauti del Discovery all’oscuro del reale obbiettivo della missione. Dal monolite ritrovato diversi mesi prima sulla luna, che secondo gli scienziati è indubbiamente di natura aliena, è partito un segnale radio potentissimo diretto verso l’orbita di Giove. Bowman, ultimo superstite all’interno della navicella dopo la ribellione del supercomputer; arrivato in prossimità del pianeta, viene inghiottito dal monolite in un vortice di colori e suoni che, cancellando lo spazio e il tempo, lo lasciano stordito e disorientato. Visioni di stelle, nebulose, forme geometriche ed angoscianti prospettive aliene si alternano fino a concretizzare una stanza chiusa dove l’astronauta si ritrova.
Ecco dunque che il monolite ritorna in scena e, secondo la mia chiave di lettura, porta l’astronauta, e quindi l'individuo, alla conoscenza dell’ultraterreno, di ciò che neppure l’uomo riesce ad immaginare, all’idea dell’infinito e del tempo che viene dilatato in eternità, concetti astratti, sconosciuti alla mente umana che appunto rimane sconvolta e inorridita da troppa conoscenza.
Nella sequenza finale Bowman, all’interno della misteriosa stanza, si vede velocemente invecchiare, tempo e spazio sembrano ormai svaniti, divengono concetti superati. Solo, sul letto di morte, riesce a intravvedere per l’ultima volta il monolite prima di spegnersi e dare luce allo starchild, il bambino delle stelle ponendo così fine (o inizio?) in maniera simmetrica al viaggio spazio-temporale della conoscenza umana. Anche grazie alla ripetizione del poema sinfonico “Also Sprach Zarathustra” di Richard Strauss, presente nei primi minuti di film e poi ripetuto come conclusione, viene a sottolinearsi il parallelismo tra la “nascita” iniziale dell’uomo e quella dello starchild della scena finale.
Il sapere umano, per quanto infinito, eterno e al di là dalla mente umana possa essere, viene tramandato di generazione in generazione, di padre in figlio; un bene di inestimabile valore che ci rende pensanti, unici e ci contraddistingue dagli animali.
2001: odissea nello spazio si rivela dunque un'avventura spaziale che “diventa scoperta di se stessi”.
A.L.
Visione consigliata: 2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick (1968)
Lettura consigliata: La sentinella, Arthur Clarke (1948)
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