Incredibilmente
leggera, veloce, sensibile e vivace. Descrivere con estrema precisione
l’amosfera che regna in una serata tipica di una città del nord Italia non
lascia spazio al tempo di pensare profondamente alla particolarità di ogni
movimento. Qui tutto ha fretta di spostarsi, di cambiare forma, di alleggerire
il carico informativo delle sue dimensioni per trasformarsi il più velocemente
possibile in qualcos’altro che sfugge ancora che se ne va successivamente
altrove, mascherato da qualcos’altro.
Un dubbio, una domanda, un affermazione sospetta,
può darsi anche si tratti semplicemente di una speculazione che non porta ad
alcuna conclusione pratica, concreta o effettiva e vera. Possiamo definire ogni
singolo atto che ci porta ad incuriosirci, come un semplice spreco di tempo. In
questo posto pensare prima di agire diventa un’azione che porta alla stasi. Non
esiste il valore che la propria capacità riflessiva aggiunge alla fisica di
ogni movimento meccanico del nostro corpo, sia anche solo quello di un semplice
sospiro di fronte ad un balcone al quale ogni Giulietta s’è affacciata per
rispondere al proprio Romeo. Sembra non essere presente l’acuta dialettica di
un “Mercante Veneziano” nel mercato di questo paese, qui tutto luccica
maggiormente quando è rispolverato per più di una volta. Qui risiedono molte
immagini vetuste. Necessita di un acuto lavoro d’analisi storica ogni ente e
per gli oggetti concordo con chiunque afferma che in Italia il lavoro
dell’archeologo è comune a tutti gli abitanti. Tutto ritorna, tutto si ripete,
ma nonostante la disposizione non cambi, tutto è sempre diverso. Stupirsi di
ciò che è ovvio, non sempre è sciocco, è semplicemente reale. In questo luogo
l’agire stesso è un composto di tutta l’espressione individuale e collettiva di
un individuo. Non esiste un sistema ordinato e consequenziale, non c’è una
calssificazione standard. Posso ricondurre l’insieme di comportamenti ad un
modello sociale, ma di per se non esiste un modello sociale comune anche tra
gli individui di uno stesso e legittimo gruppo di persone appartenenti alla
stessa classe sociale. Si capisce chiaramente che non vi alcun tipo di studio
generale, tutto è concentrato sull’istante singolo, così come tutto è
soggettivo, anche se molto spesso, si intende come soggettivo ciò che è
relativo, in questa strana parte del pianeta. Dimentico volentieri che ogni
azione relativa necessita di un dato costante o un indice generale ed oggettivo
di relazione, meglio dimenticare questi sofismi matematici e disici per vivere
in pace qui. Direbbe un qualsiasi giocatore Pascaliano: ”conviene fingere di
non sapere onde mervaigliarsi del proprio conto, piuttosto che concludere e
rimanere con l’amaro in bocca”. Da come si muovono le persone ed agiscono i
loro più libidici sentimenti nei confronti di “Bacco, Tabacco e Venere” non
appare evidente fin da subito il peso che Roma e le sue alte torri campanarie
ha sulla cultura dell’individuo medio. Solo entrando nella reverenza di una
famiglia locale, posso rimanere spesso interdetto da come morale ed uso comune
spesso, qui, non coincidano. Un’estrema improvvisazione verso l’inaspettato.
Così crescono le persone, così si colora il tempo del giorno e si incupisce la
sera, tingendo la tela con colori
nettamente più “Crepuscolari”. Per ogni luogo esiste un verde, qui quello più
scuro appartiene alle bottiglie che contegono il vino. Mentre il giallo colora
i boccali di birra dello stesso splendore d’un raggio solare. Il miele diventa
nettare alcolico. Il platino il riflesso della luce in un calice di vino
bianco. Ombra di verità ombra di saggezza, ombra d’amore ombra di solitudine e
dolce sconforto. Ogni ombra traccia la sagoma di qualcosa, ogni ombra contiene
l’essenza di una storia. L’ombra di una bottiglia che contiene un vino passito d’uve
rosse della ValPollicella, sembra racchiudere l’essenza di tutte le belle
giornate che il colle su cui era posto il vigneto, ancora immaturo per la
raccolta , ha poi riconsegnato a una coppia di amanti che lo stanno sorseggiando,
su una terrazza illuminata e semi deserta di una bar, dove ancora una musica
quasi impercettebile sta continuando a suonare dagli altoparlanti del suo
sistema audio. Rimango sempre molto scettico, con una nota piuttosto arrogante
ed un’altra invece che stona in un singolo apice di gelosia, quando incrocio
scenari di questo genere. Non riesco a capacitarmi di come molto spesso, le
persone bevano senza bere, o parlino senza realmente dire qualcosa, oppure di
come stiano di fronte a quella bottiglia senza avere la minima percezione
dell’uno e dell’altro. Meglio lasciare la sala di ogni spettacolo una volta che
esso è finito, potrebbe essere svantaggioso trovarsi in prima fila quando
quest’ultimo non corrispondeva a ciò che volevi realmente vedere. Continuo a
muovermi per le vie del centro di questa città, continuo ad osservare tutto ciò
che compare e scompare, giochi di luce ed ombra, sempre gli stessi ed i
medesemi ovunque. Sento spesso queste parole uscire dalla bocca dei più. Mi
piace sviscerare le persone a suon di domande, forse perchè mi piacciono le
persone autentiche e le frasi fatte non mi sono mai state molto simpatiche.
Spesso aiutano a mascherare le intense emozioni che che stanno velocemente
portando alla rovina un “bel paese”. Questa sera, in cui la luna sorride some
un gatto Persiano in un cielo d’un blu, che somiglia maggiormente ad un
calamaio d’inchiosto, nel quale uno scolaro piuttosto creativo ha disegnato un
sorriso con del bianchetto correttore, mi appare chiaro che non c’è amore
quando non c’è scelta. Qui sembra che siano le persone stesse a non
concedersela. Non capisco come sia possibile sorseggiare una birra fresca
seduti sullo stesso muricciolo dove, molto probabilmente, uno scutore come
Antonio Canova ha sorseggiato il suo calice di cabernet e non cogliere
l’immensa ispirazione che una sera serena ed un panorama così vivace e vario,
consegna nelle mani dello sculture. Non v’è meraviglia del proprio creato, non
v’è valore reale nella propria storia. Dunque, Italia è espressione geografica.
In Italia non esiste popolo, ma moltissime persone. Forse non è il caso di
chiamarli italiani. Meglio chiamarli per il nome che i loro genitori hanno
scelto per loro, quando ancora vivenano di qualche sogno leggero in più,
rispetto ad oggi.
Tutto
scorre troppo rapidamente, tutto cambia, quasi, improvvisamente. Mi sto
muovendo e sto scorrendo attraverso un flusso intenso di immagini pazzesche.
Strabilianti edifici in rovina, moderne abitazioni lussuose circondate da edere
rampicanti, lanterne che illuminano corsi d’acqua vecchi come le montagne che
limitano i confini di ciò che è Italia da ciò che invece inizia ad essere
Germania. Chiacchero vivace, rido con amici di vecchia data e continuo a bere
non curante dei postumi che tutto quest’alcol mi causerà tra poche ore. Si
scambiano informazioni ed esperienze di posti molto distanti tra loro. Un amico
Danese conversa con il compagno Olandese di mia sorella, caro amico mio di
vecchia data e strabiliante creatore di situazioni stravaganti. Un caro amico
sorride insieme a me mentre la conversazione sta prendendo una divertente piega
di scherzi sulla natura afrodisiaca ed allucinogena di droghe leggere, di
legale consumo in regioni al dilà dei confini alpini. Aprire la propria
mentalità sembra non sia altrattanto possibile nel perimetro interno a questo
grande arco montuoso. Mi scontro di continuo con pesanti portoni, che sbarrano
palesemente l’ingresso in qualche dicastero d’ignoranza e potere. Pare sia
impossibile anche per una piccola città non poter rimanere priva di simili
palazzi. Spesso in questo paese si incotrano altari di cristallo. Ti permettono
di vedere reliquie ormai decomposte di oscenità signorili e dominanti
appartenti al passato, sul quale si stampa il mio volto sconvolto. Purtroppo
ancora non abbastanza putrefatte per essere raccolte e buttate nel
dimenticatoio del tempo e della storia. Passano due sorsi ed ho finito il mio
drink, ora passiamo da un locale al prossimo. Non puoi fare a meno di bere, non
esiste un attimo in cui i miei occhi non incorcino un altro bicchiere colmo per
poi svuotarlo a suon di chiacchiere, sigarette e quant’altro. Meglio la botte
vuota ... si può sempre riempire di qualcosa di migliore, anche se non sempre è
garantito o possibile.
Mi
siedo rattristato davanti alla finestra di un bar ed osservo incuriosito quei
volti che illuminati da null’altro che semplice luce, si muovono in cerca del
proprio interlocutore. Si scambiano opinioni su mode alimentari, seduzioni
attraverso stili culinari e di abbigliamento. Si conotorcono immagini di reparti
ospedaliari di chirurgia estetica con cliniche psichiatriche per recupero di
anoressiche e bulimiche. Tutto in pochi istanti e nella più totale noncuranza
dello scempio che il gusto per qualcosa di imposto porta sul corpo di chi
schiavo subisce, pur avendo le armi necessarie per non portare più le catene
meglio sostituite dallo stile così vivace di una conversazione che sinceramente
non necessita di un intuito straordinario per capire che non porta a nulla che
sia qualcosa di profiquo e di realmente interessante, per quanto,
personalmente, mi riguarda ... Cerco di fare conversazione. Mi appiglio al
classico tema: “taglio di capelli: oggi moda oppure semplice gusto?”. Non di
certo un argomento che suscita interesse da parte mia, ma certamente da x si
può arrivare a 1x che è sempre diverso da x. Giusto ed ovvio, perfetto e
coinciso come sempre. Matematica, risolve sempre quello che normalmente non
riuscirei a spiegare senza scrivere o discutere per ore, in pochi semplici
segni comprensibili a tutti. Parlo con una donna, porta una maglietta dei Joy
Division, brache nere, scarpe dallo stile Weimaraner ArbeitKlasse. Ha i capelli
completamnente rasati, e porta un copricapo spesso utilizzato dalle giornaliste
occidentali in reporatge sulle guerre Islamiche o in paesi devastati da un
incomprensibile oscenità religiosa ed economica. Il commercio e la religione.
Troveranno un modo per integrarsi senza più cozzare in innumerevoli moti distruttivi
per tutti? Ricorda la Maddalena, ricorda chi si pente per non essere rimasta
fedele alla sua indole, una figura unica di dignitoso sconforto. Un’immagine di
acuta intelligenza e consapevolezza che il suo declino è stato sostituito dalla
mancanza di qualcosa di impalpabile per chiunque abbia scoperto d’essere
innamorato e non ne ha mai assaporato il gusto, mai ha potuto palpare o semplicemente
carezzare l’opera del suo amore. Nelle sue parole, nelle sue descrizioni e
spiegazioni, in tutti i gesti espressivi delle sue mani, del suo corpo, c’è
quel chiaro messaggio di chi sa d’aver incontrato me stesso e che in me stesso
ha trovato quell’angolo nel quale riporre tutte le verità che ancora pesano.
Parlami di droga, parlami di moda, parlami d’affetto verso la musica e di una
repulsione condizionata dal tuo tentativo di rimanere astinente dalle immagini
dei tuoi peggiori incubi. Deforma i nomi in miti, chiama altri quando chiami e
cerchi te stessa. Lo fai, bellissima creatura, lo stai facendo. T’ascolto mentre
mi parli di qualcun altro, ma vedo esattamente nel tuo sguardo di chi stai
parlando. Potrebbe essere realmente la storia di un amico quella che mi stai
narrando, ma comune alla sua si sente il trasporto che ti unisce alle parole
che suonano la vita di quest’altra persona, ora tra noi invisibile, ma nel
verde chiarissimo delle tue iridi, ben evidente e visibile rimane che stai
parlando anche di te stessa. S’illumina il tuo sguardo mentre cerchi
disperatamente di andare a parare dove ti senti meno in pericolo, ma d’altronde
sai che non puoi nascondere quello che sei, che sei stata, non riesci a
mascherare la pena, il peso, il dolore. Si riesce a leggere tutto di te ma
anche se è di facile intuzione la fine del racconto rimane comunque un piacere
arrivare insime fino all’ultima lettera. Interessato interloquisco con te. Non
ricordo il tuo nome, voglio chiamarti Marilena, si ti chiamo così. Marilena,
addolcisce, quell’immagine più volte dipinta, di una donna in pena per aver
amato il figlio di dio, irragiungibile ed elevato a tal punto che per
raggiungerlo devi aspettare d’aver vissuto tutto l’arco del tuo tempo. Marilena
non è Maddalena. Hai raggiunto troppo rapidamente il paradiso, e poche ore più
tardi hai capito che per poter rimanere nell’alto dei cieli è indispensabile
non saltare le tappe del tuo viaggio. Marilena,
ricordi un fiore meraviglioso che è sbocciato in un cumulo di sassi sporchi e
di case in rovina. Marilena ricordi un giglio color lilla che beve la fresca
acqua del Brenta alle ore più fresche d’una tiepida sera d’estate, mentre il
sole scende tra le vette rocciose delle prealpi e si inabissa nel verde cupo
della Valsugana.
T’ascolto e t’osservo. Ti scruto e mentre taccio comunque sai
che ti sto chiedendo tutto quello che voglio sapere. Sei talemente vera e
nitida che potrei stare ore a rimirare ed ascoltare tutto quello che mi stai
dicendo. Mentre il tuo sillabare ogni parola trasmette il significato della tua
vita. Ogni segno vocale è carico del tuo vissuto. Non mi sento in grado di
giudicare ciò che sei, non riesco a essere distratto. D’altronde tra noi,
Marilena, il cristallo non divide, ma contine, le lacrime che stiamo versando
ogni giorno per noi stessi, per gli altri. Siamo il vaso di vetro che contine e
nutre la nostra essenza, possiamo essere un incredibile varietà di fiori, siamo
tutti diversi l’un l’altro. Non basta il settanta per cento d’acqua di cui
siamo fatti, però, per nutrire la nostra intera bellezza. Forse, e tu Marilena
me lo stai ricordando, per essere splendidi frutti del creato e del caso, come
tu sei, bisogna aggiungere anche un buon venti per cento di lacrime, dolci o
amare che siano. Ed è così che sento questo posto intero ... Marilena, te lo sto dicendo, tu lo sai: tutto
il vetro del mondo non basta per proteggere il fiore che sei, nemmeno sotto la
geometria antiquata di una campana. Attraverso un vetro, attraverso uno
specchio, attraverso un crtistallo, non ha importanza, d’altronde se
consideriamo l’essere umano come una bottiglia, un bicchiere o un vaso,
possiamo tranquillamente dedurre che non c’è molta differenza tra la
composizione molecolare umana e quella invece composta dai maestri Veneziani
per risultare un oggetto brillante sopra i nostri mobili domestici. Come il
nostro aspetto, esso cambia sempre ma la sostanza rimane invariata, sono i
contenuti che soggettivamente o meno ci piacciono oppure no e quelli, per forza
di cose, col tempo mutano, e Marilena, se il risultato è ciò che vedo,
invecchiare ti ha resa meravigliosa.
Mi
dispiace ammettere che per tutti non sia così. A giudizio di alcuni, potrebbe
non piacere a molti il sapore della mia essenza, nonostante stia facendo, in
questo istante, del mio meglio, per riempire la mia anima di dolce nettare
degli dei ... e vetro per attorno oppure no, in vino semper veritas.
F.M.