cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 2 febbraio 2013

Blue

“You say to the boy open your eyes
When he opens his eyes and sees the light
You make him cry out.
Saying
O Blue come forth
O Blue arise
O Blue ascend
O Blue come in”



Inizia così Blue (1993), ultimo film del regista Derek Jarman, attivo negli anni ‘80, in un’Inghilterra che vede nascere il punk e altre sottoculture caratterizzate dalla voglia di urlare al mondo il proprio disagio. Derek si afferma nel ruolo di regista ribelle e coraggioso, lavora con i Sex Pistols e con gli Smiths, rende pubblica prima la sua omosessualità e più tardi la sua condizione di persona malata  di Aids.
Proprio dell’aids parla Blue, 76 minuti di pellicola e un unico fotogramma in saturazione di blu,  Blue Klein per l'esattezza, in omaggio all'omonimo artista che fa di questo colore l'elemento centrale della sua vita. Qui le voci e i suoni prendono il posto dell’immagine, tra cui quella del regista che racconta delle situazioni, racconta la sua lotta quotidiana contro la malattia, che lo sta portando alla cecità prima che alla morte.
Non sai se guardarlo o se ascoltarlo questo film, ma poi pensi che non è la radio, e che forse bisogna proprio fissare lo schermo per capirci qualcosa. Ma perché proprio il blu?  In inglese “feeling blue” viene usato per descrivere lo stato melanconico, ma non doveva essere solo per questo.
Dopo un po’ che guardavo il film (fa strano chiamarlo film, eppure lo è) mi sono resa conto di quello che la mia mente inconsapevole stava facendo; da un lato creavo io gli attori e immaginavo la scena, dall’altro lato associavo l’immagine di quel rettangolo blu alla profondità di un fondale oceanico, all’ampiezza del cielo quando è di quel blu intenso e carico, che sembra schiacci tutto verso il basso.


Tutta l'interpretazione era lasciata a me, Jarman con questa visione introspettiva di se stesso, attraverso il blu  profondo, ampio e senza figure, vede e fa vedere tutto ciò che a questo colore si può  ricollegare. Allora mi dico “beh, geniale”, anche perché nonostante tutto si percepisce che il regista non smette un secondo di essere fuori dagli schemi e provocatore.
Qui si mette in crisi il concetto stesso di cinema. Jarman mette in crisi noi tutti, mette in crisi la società dell'immagine negandone le immagini, dimostrando che attraverso il suono e il colore si può  vedere più in profondità. “Abituato a credere nell’immagine, in un'idea assoluta di valore, il mondo ha dimenticato l’imperativo della sostanza [...]”
Provoca una società repressiva per la quale l'aids è un argomento considerato difficile da affrontare, un argomento tabù. Nei monologhi di Blue descrive dettagliatamente la malattia, esponendo in maniera puntigliosa il suo manifestarsi; è duro, diretto a volte tragicamente ironico, tira in ballo anche la religione:“Il Gautama Buddha dice di allontanarsi dalla malattia, ma a lui non hanno mai fatto una flebo”. Un rivoluzionario Derek Jarman.
Alla fine di tutto resta il blu... e io mi dico che è più facile vedere il cinema muto che il cinema cieco, per questo consiglio di provare l'esperienza di questo film, soprattutto a chi sa cogliere sfide culturali, emotive ma soprattutto sensitive.



Visione consigliata: Blue, Derek Jarman (1993)


G.G.

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