cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 21 luglio 2012

2001: odissea nello spazio. L’infinita conoscenza umana.

«Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio».

1968, ispirato al racconto di Arthur Clarke "La sentinella", Stanley Kubrick produce uno dei film più visionari e avveniristici della storia del cinema, che rimarrà un film di assoluto cult per gli amanti del genere fantascientifico.

Confesso che alla prima visione rimasi scosso profondamente e dovetti stoppare il registratore (sì, all'epoca lo registrai in vhs) diverse volte; un po’ per incomprensione un po’ per l'estrema lentezza e intensità delle sequenze. Col tempo riuscii ad assaporare meglio la pellicola: dapprima per quanto riguarda il girato, le scene, le riprese, i costumi e la recitazione, e infine per il profondo significato, a prima apparenza talmente inafferrabile da sembrare assolutamente assente.

La storia narra della nascita e dello sviluppo dell'intelligenza sul nostro pianeta, dalla scoperta da parte di alcuni ominidi di primitive armi che permettono loro di conquistare il territorio in cui vivono, fino ad arrivare alla missione spaziale su Giove cui fanno parte il comandante David Bowman, il suo vice Frank Poole e il supercomputer HAL 9000 – doppiato in maniera magistrale dall’attore Gianfranco Bellini, ritenuto da Kubrick il miglior timbro vocale in assoluto di HAL.
Il fil rouge che lega e scandisce il tempo tra le varie parti del colossal è un monolite nero. Dapprima tra le scimmie, di seguito ritrovato sulla luna durante una spedizione del dott. Heywood Floyd e infine nell’ultima parte del film davanti al protagonista ormai vecchio e morente; questo pragmatico oggetto apre molteplici visioni e suggerimenti sul significato che il regista ci ha voluto passare, un significato, come suggerisce lo stesso Kubrick, aperto e soggettivo.
Quando appare il monolite nero nello schermo si ha un balzo temporale in avanti nella narrazione. È come se venendo a contatto con il misterioso oggetto, l’uomo e la natura, facessero un progresso conoscitivo sovraumano.
Queste scene, giudicate le più realistiche mai girate, sono accompagnate da alcuni pezzi che passeranno alla storia come migliori colonne sonore per film fantascientifico, dalla inquietante “Lux Aeterna” fino alla aliena “Atmospheres” frutto del genio del compositore ungherese György Ligeti.
Durante la visione si scopre che ad HAL, dotato di un’avanzatissima intelligenza che gli consente di colloquiare con gli esseri umani e perfino di provare delle vere “emozioni umane”, viene impartito l’ordine di tenere gli astronauti del Discovery all’oscuro del reale obbiettivo della missione. Dal monolite ritrovato diversi mesi prima sulla luna, che secondo gli scienziati è indubbiamente di natura aliena, è partito un segnale radio potentissimo diretto verso l’orbita di Giove. Bowman, ultimo superstite all’interno della navicella dopo la ribellione del supercomputer; arrivato in prossimità del pianeta, viene inghiottito dal monolite in un vortice di colori e suoni che, cancellando lo spazio e il tempo, lo lasciano stordito e disorientato. Visioni di stelle, nebulose, forme geometriche ed angoscianti prospettive aliene si alternano fino a concretizzare una stanza chiusa dove l’astronauta si ritrova.
Ecco dunque che il monolite ritorna in scena e, secondo la mia chiave di lettura, porta l’astronauta, e quindi l'individuo, alla conoscenza dell’ultraterreno, di ciò che neppure l’uomo riesce ad immaginare, all’idea dell’infinito e del tempo che viene dilatato in eternità, concetti astratti, sconosciuti alla mente umana che appunto rimane sconvolta e inorridita da troppa conoscenza.
Nella sequenza finale Bowman, all’interno della misteriosa stanza, si vede velocemente invecchiare, tempo e spazio sembrano ormai svaniti, divengono concetti superati. Solo, sul letto di morte, riesce a intravvedere per l’ultima volta il monolite prima di spegnersi e dare luce allo starchild, il bambino delle stelle ponendo così fine (o inizio?) in maniera simmetrica al viaggio spazio-temporale della conoscenza umana. Anche grazie alla ripetizione del poema sinfonico “Also Sprach Zarathustra” di Richard Strauss, presente nei primi minuti di film e poi ripetuto come conclusione, viene a sottolinearsi il parallelismo tra la “nascita” iniziale dell’uomo e quella dello starchild della scena finale.

Il sapere umano, per quanto infinito, eterno e al di là dalla mente umana possa essere, viene tramandato di generazione in generazione, di padre in figlio; un bene di inestimabile valore che ci rende pensanti, unici e ci contraddistingue dagli animali.
2001: odissea nello spazio si rivela dunque un'avventura spaziale che “diventa scoperta di se stessi”.





A.L.




Visione consigliata: 2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick (1968)

Lettura consigliata: La sentinella, Arthur Clarke (1948)

Ziggy Polvere di Stelle

Quando il 21 luglio 1969 Neil Armstrong e Buzz Aldrin fecero il “grande balzo per l’umanità” sulla superficie lunare, il pianeta Terra iniziò ad essere invaso da manie spaziali. A dire il vero, già da qualche tempo film e musica avevano preso questo orientamento, ma il culmine delle invasioni aliene si ebbe nei primi anni ’70.


Il condottiero musicale dell’invasione fu Ziggy Stardust, alias David Bowie. Il futuro Duca Bianco aveva già esplorato il tema spaziale nella celeberrima Space Oddity (1969), storia ambigua del Maggiore Tom mai spiegata veramente nemmeno da Bowie. 
La canzone racconta il lancio di una navicella spaziale attraverso il dialogo tra il Maggiore Tom e la base di lancio, fino al tragico epilogo che lascia tutti con il fiato sospeso dopo l’interruzione della trasmissione dell’astronauta. Che fine ha fatto il Maggiore Tom? L’angoscia degli ascoltatori durerà per ben 11 anni, fino a quando in Ashes to ashes (1980) David Bowie svelerà l’arcano mistero: “Ti ricordi di quel ragazzo in quella vecchia canzone, ho sentito delle voci dalla torre di controllo..”. Il Maggiore sta bene, è ancora disperso nella desolazione dello spazio, la solitudine lo ha fatto diventare un drogato e ora vuole tornare giù al più presto; ormai però per il Maggiore Tom la vita si farebbe dura anche sulla Terra, “mia mamma diceva che se vuoi portare a termine qualcosa faresti bene a non aver nulla a che fare con il Maggiore Tom!”.
Ziggy Stardust atterra nel nostro pianeta nel 1972 insieme alla sua band, gli Spiders from Mars. E la prima notizia che porta alla popolazione terrestre è sconvolgente: ci restano solo cinque anni da vivere, “cinque anni per piangere”. 
Ad una prima occhiata il personaggio non è molto raccomandabile, un alieno con  gli occhi di due colori diversi, capelli arancioni e tutine attillate sgargianti improponibili; ma una volta che inizia a cantare accompagnato dalle note degli Spiders from Mars, tutto sembra maledettamente vero. Secondo Ziggy, l’unico essere in grado di salvare la terra è Starman, “l’uomo delle stelle”; il nostro salvatore è entrato in contatto con alcuni ragazzini attraverso la radio, e ora stanno facendo di tutto per segnalargli la nostra presenza.

David Bowie porta in giro Ziggy Stardust per tutto il 1972 e buona parte del 1973, 18 mesi in un tour interminabile. I concerti sono dei veri e propri spettacoli spaziali, aperti sempre dalla colonna sonora di Arancia meccanica  di Stanley Kubrik, inno perfetto per introdurre Ziggy e gli Spiders from Mars. I costumi di scena sono stravaganti, eccentrici, vengono cambiati più volte all’interno dello stesso concerto, il delirio tra gli spalti è sempre più contagioso: il messaggio di Ziggy sembra essere quello di liberarci da ogni vincolo, di godere appieno la nostra vita, in fondo ormai il mondo sta per finire. 
Fino a che, in una afosa serata d’estate, accade l’impensabile: il 3 luglio 1973 Ziggy Stardust e gli Spiders from Mars sono di scena all’Hammersmith Odeon Theatre di Londra, l’ultimo concerto del tour, quello che diventerà “The Retirement Gig”. Prima dell’ultima canzone dello show, Rock’n roll suicide, Ziggy annuncia alla folla: “Questo show resterà per sempre nella nostra memoria, non solo perché qui finisce il nostro tour, ma perché è il nostro ultimo spettacolo in assoluto. Grazie a tutti, vi amo”. Tutti, compresi gli Spiders from Mars, restano ammutoliti. È la morte, la fine di Ziggy Stardust e della sua band, per loro non c’è più spazio nella mente di Bowie.
Ziggy sapeva il fatto suo, in meno di due anni sul nostro pianeta ha saputo conquistare la folla e l’immortalità. Ci ha ingannati con la scusa della fine del mondo, illudendoci di aver ottenuto quella libertà di espressione da lui tanto ostentata. Oggi, quello che resta, è il racconto della sua avventura nell’album The rise and fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars (1972) e l’illusione di aver creduto, almeno per un momento, di essere veramente liberi.



M.F.



Ascolto consigliato: David Bowie, The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972)

Un amore lunare

[Io vorrei servirmi del dato scientifico come d'una carica propulsiva per uscire dalle abitudini dell'immaginazione, e vivere magari il quotidiano nei termini più lontani della nostra esperienza - Italo Calvino in un'intervista del 1965]

Le stelle, la luna, i pianeti hanno avuto un ruolo molto importante nella mia fantasia di bambina. Da piccola tutto ciò che aveva a che fare con lo spazio, e in particolare con la luna, mi affascinava, tanto che l'unico volume dell'enorme enciclopedia di casa mia che prendevo in considerazione era quello, per l'appunto, sullo spazio. Ovviamente ero piccola e non ancora in grado di leggere, ma del resto a quell'età ciò che mi interessava non erano certo le parole, bensì le immagini. Tra queste, una in particolare mi piaceva tantissimo: si trattava di una grande immagine raffigurante la luna, una grande luna pallida, con i suoi crateri e i suoi mari lunari.
Sognavo di andarci ad abitare, anche perché magari avrei incontrato Sailor Moon che, nella mia mente di bambina di 6 anni, esisteva davvero ed era la principessa della luna, così magari sarei diventata una sua aiutante. E non importava se mia madre continuava a ripetermi che era solo un cartone e che dovevo smetterla di saltare dal mio letto a quello di mia sorella con in mano un mestolo, ovvero il mio scettro lunare.
Bello avere 6 anni: tutto ti sembra possibile, tutto ti sembra vero, basta solo crederci. Ovviamente con gli anni le cose cambiano, scopri che Sailor Moon non esiste, che non potrai diventare una paladina della luna e che su quest'ultima non puoi andarci ad abitare.
Nonostante questo però l'amore per quel satellite mi è rimasto dentro, amore che riemerge con nostalgia ogni qualvolta mi capita di leggere i racconti de Le Cosmicomiche di Italo Calvino, e in particolare La distanza della luna.
Dal 1964 Calvino inizia ad interessarsi alle riflessioni di tipo scientifico e alle cosiddette scienze esatte, in particolare fisica, matematica, astronomia. Nel 1965 escono così Le Cosmicomiche, e le differenze rispetto alle precedenti opere si percepiscono con forza, sia da un punto di vista stilistico che strutturale. Si tratta di 12 racconti, ognuno dei quali è aperto da una riflessione scientifica, sviluppata poi nel corso della storia dal narratore, un personaggio dal nome impronunciabile, Qfwfq. La distanza della luna è il primo di questi racconti, in cui un'atmosfera struggente, quasi onirica, cattura il lettore fin da subito.

La storia è ambientata in un tempo in cui la Luna si trovava molto vicina alla Terra, "l'avevamo sempre addosso la Luna, smisurata [...] c'erano delle notti di plenilunio basso basso e d'alta marea alta alta che se la Luna non si bagnava in mare ci mancava un pelo" afferma infatti Qfwfq. Ed era proprio in quelle notti di plenilunio che Qfwfq, suo cugino il Sordo, il capitano Vhd Vhd e la moglie si spingevano con una barca a remi fin sotto la Luna e grazie ad una scala a pioli vi salivano sopra. In quel satellite vi era qualcosa di magico, Qfwfq e compagni vi erano attratti come calamite, anche perché sulla Luna era possibile raccogliere il latte lunare, un liquido denso e dal sapore buonissimo. Il più abile di tutti, sia a salire che a raccogliere il prezioso nettare, era il Sordo, che pareva avere con la Luna una sintonia particolare.
Erano notti magiche quelle di plenilunio "Uno speciale umore ci prendeva, in quelle notti al largo degli Scogli di Zinco; allegro, ma un pò come sospeso, come se dentro al cranio sentissimo al posto del cervello, un pesce, che galleggiava attratto dalla Luna. E così si navigava suonando e cantando."

Ma quella luce lunare cosa può scatenare se non l'amore, e infatti Qfwfq si innamora della moglie del capitano Vhd Vhd, che "aveva braccia lunghissime, argentate in quelle notti come anguille" con le quali suonava dolcemente l'arpa. Amori però, quelli lunari, destinati ad essere evanescenti come la natura stessa del satellite che li scatena.
"Così cominciò la storia del mio innamoramento per la moglie del capitano, e delle mie sofferenze. Perché non tardai ad accorgermi a chi andavano gli sguardi più ostinati della signora: quando le mani di mio cugino si posavano sicure sul satellite, io fissavo lei, e nel suo sguardo leggevo i pensieri che quella confidenza tra il sordo e la Luna le stava suscitando, e quando egli spariva per le sue misteriose esplorazioni lunari la vedevo farsi inquieta, stare come sulle spine, e tutto ormai m'era chiaro, di come la signora Vhd Vhd stava diventando gelosa della Luna e io geloso di mio cugino."
L'orbita della Luna s'andava però allargando sempre più, e sarebbe arrivato il momento in cui non sarebbe più stato possibile salirvi, o scendervi.
Una notte anche la signora Vhd Vhd, subito dopo che Il Sordo fu salito sulla Luna, decide di salirvi, cosa che non era mai successa prima. Chiara era l'intenzione della donna: rimanere sulla Luna da sola con il Sordo. Il capitano Vhd Vhd non si oppose alla richiesta della donna che lo aveva deluso e della quale voleva forse liberarsi. Eccoli allora, la signora Vhd Vhd, il Sordo e la Luna. Ma il Sordo non desidera altra cosa che la Luna e al di fuori non vede nient'altro, tantomeno una donna che si strugge d'amore per lui. Si nasconde quindi in una piega lunare finché non arriva il momento di tornare sulla Terra.
E la signora Vhd Vhd? Decide di rimanere sulla Luna: è il suo tentativo estremo di identificarsi con il satellite, con l'oggetto del desiderio del suo amato: "Ella aveva ben compreso che l'amore di mio cugino era solo per la Luna, e tutto quel che lei voleva ormai era diventare la Luna, assimilarsi all'oggetto di quell'amore extraumano".
E Qfwfq? Ora che la moglie del capitano è sulla Luna e da lì non tornerà più, il suo amore è destinato ad affievolirsi? Certo che no perchè "anche ora che la Luna è diventata quel cerchietto piatto e lontano, sempre con lo sguardo vado cercando lei appena nel cielo si mostra il primo spicchio, e più cresce più m'immagino di vederla, lei o qualcosa di lei ma nient'altro che lei, in cento mille viste diverse, lei che rende Luna la Luna e che ogni plenilunio spinge i cani tutta la notte a ululare e io con loro".

Sono quindi i nostri sogni, le nostre idee, le nostre aspirazioni che rendono la Luna un luogo magico in cui tutto è possibile, in cui tutto è vero. Ecco allora che anche se ormai di anni non ne ho più 6 ma 25, nelle notti di plenilunio, guardando la Luna, sento che le cose, almeno in quel momento, sono un pò più possibili.



D.C.


Lettura consigliata: Le Cosmicomiche, Italo Calvino (1965)

Cacoal, tanto spazio tanta erba

Quando ho pagato il biglietto aereo per Cacoal non sapevo ancora cosa aspettarmi. Non sapevo che il portoghese brasiliano potesse essere così diverso dall’italiano, non sapevo che qui le scimmie girano come da noi gli scoiattoli, non sapevo che esistono ancora gli indios, non sapevo che gli indios mangiano le scimmie, non sapevo che un casco di banane può essere grande come un mio mezzo braccio, non sapevo che alcune persone vivono in case senza fondamenta, non sapevo che qui la terra è rossa, non sapevo che i bambini girano anche scalzi per la scuola, non sapevo che il cacao è un frutto, non sapevo che il cacao è un frutto che non si può mangiare, che è un frutto che non si può mangiare ma solo gustare e poi sputare. Non sapevo che Cacoal significa ‘terra del cacao’.

Cacoal è una città della Rondonia. La Rondonia è uno stato posto ai confini della Bolivia e dell’Amazzonia, situato a nord ovest del Brasile. Il Brasile è una repubblica federale formata da 27 stati. Il Brasile è grande come l’Europa. Il Brasile è trenta volte l’Italia. Cacoal conta all’incirca 100.000 abitanti, fuori da Cacoal c’è la foresta, la ‘mata’.

Per raggiungere il Brasile e poi Cacoal servono 4 aerei e uno scalo, due giorni e sei ore di fuso orario. È stato il viaggio più lungo e solitario della mia vita di ventiduenne, il più stancante e il più aspettato, desiderato. A Cacoal ci sono arrivata un po’ per caso, un po’ per fortuna . “Vieni pure quando vuoi” mi è stato detto... dopo un  mese avevo il passaporto pronto, un’assicurazione medica e il biglietto aereo per Cacoal. La sera del 23 maggio sono arrivata qui, a Cacoal. 

La prima cosa che mi ha colpito di Cacoal sono state le strade. Le strade del centro sono praticamente tutte asfaltate, ma son invase da dossi di proporzioni gigantesche! Se invece la strada non è asfaltata, è rossa! Qui la terra è rossa. Rossa rossa. Proprio rossa. Rossa che le mie scarpe bianche ora son rosse, rossa che se vai in giro in bici e per caso indossi una maglia bianca, anche la maglia è rossa! Cacoal terra rossa del cacao.
Qua a  Cacoal non faccio che sorprendermi per tutto.. Sarò scontata, ma la disparità economica, la tranquillità di chi comunque non ha nulla, mioddio..una mattina sono stata a portare in giro per le famiglie dei bambini della scuola dove lavoro dei pacchi, pacchi di cibo. Le case e le famiglie. Ecco cosa mi ha sconvolta di più. Le case e le famiglie. Le case e le famiglie. Case che io non avevo mai visto, mai. Famiglie?! Non famiglie. Case?! Non case. Quattro assi di legno e coppi per coprirsi la testa quando piove, 10 metri quadrati di casa. Quante persone? 10. Un  metro quadrato a testa, 10 metri quadrati, 10 persone. Visitiamo una mamma, la mamma di uno dei miei amori, è stanca, magra, scura, ha pochissimi denti, ne conto 4 o 5. Quanti anni ha? 27. Visitiamo un’altra mamma, il marito non lavora perchè è malato ‘ma hai comprato le medicine?’ le chiede la direttrice ‘No, costano 135 reales, è troppo’. Visitiamo un’altra famiglia, la madre non c’è, il padre non esiste, in casa ci sono due ragazze, un bambino di 8 anni e una bimba di 2. La bimba di due anni è figlia di quella di 15. Quella di 15 è sposata, separata e drogata. Non lavora e tossisce in continuazione. Visitiamo un’altra famiglia, madre e figlia sono in casa. La figlia vomita in continuazione ‘penso sia l’acqua’ dice la madre ‘ non è la prima ad avere di questi problemi’. Io non parlo più, mi vien da piangere e torno a casa. Il mio piatto è colmo di ottima pastasciutta. Il pomeriggio non sono tornata a famiglie, grazie a Dio.

E poi, chi ha tutto.. qui in Brasile compiere 15 anni è un grande evento. 15 anni è un’annata importante per una ‘moca’, ragazza, significa che è pronta. ‘Pronta per cosa?’ ‘per figliare!’ ‘ah’. Sconvolta. Sono stata a questo compleanno, la festeggiata si è cambiata tre vestiti, mi è stato regalato un paio di ciabatte, la torta era alta quanto me...la disparità sociale. Chi ha tutto e chi non sa di non avere nulla. E io che sto meglio con chi non ha nulla. Il popolo del Brasile che potrebbe crescere, ma che sta bene così; che a suo modo mi sta insegnando a smettere di preoccuparmi di quello che ho o che non ho, di come mi vede la gente, di come dovrei o non dovrei divertirmi, di come dovrei o non dovrei ‘essere giovane’, come più e più volte mi è stato detto di essere. Senza chiedermi se era quello che volevo, per essere giovane, di dover spendere tre ore di ripetizioni andando a ‘ballare’ in posti che mi facevano schifo, bere perchè così fa più ridere, poi vomitare perchè tutti vomitano e stare male altre 12 ore. Ora che ho visto un altro modo di vivere so che il mio, per molto tempo, non era quello giusto per me, e che fuori c’è molto altro ancora. Ma il Brasile è così enorme, tanto enorme da risultare una gabbia per chi, come me, non lo conosce e non lo sa vivere. Tutto lo spazio di cui si può avere bisogno qui c’è, ma è così tanto che alla fine non si sa come muoversi e si resta fermi. Come la libertà, quando si è liberi di scegliere non si sa più cosa fare..spaesati. Io qui son arrivata che mi sentivo persa, poi ferma, poi incredula, sconvolta, ora attiva. Finalmente attiva. Taglio l’erba di un centro per far risparmiare i soldi del giardiniere e comprare i pacchi di cibo da mandare ai miei bambini. 

Finalmente sveglia. 
Tanto spazio, tanta erba.




S.T.

Lucio Fontana e lo spazio infinito

Redigere il "Manifesto Blanco" (1946), "Movimento Spaziale"(1948), "Manifesto tecnico dello Spazialismo" (1951) e "Television Manifesto" (1952), furono il modo scelto da Lucio Fontana per stabilire i traguardi che il suo movimento avrebbe dovuto raggiungere con l'aiuto degli scienziati, dei tecnici della luce e dell'elettronica. 



Concetto Spaziale. Attese,(61 T 59),1961



Era proprio questo che voleva Fontana: elaborare nuovi strumenti di comunicazione grazie alla luce nera, alla radio, alla televisione, alla luce di wood, per arrivare a dar vita a “ forme, colore, suono attraverso gli spazi”.
Per Fontana e gli spazialisti l’arte non doveva  più sottostare alle limitazioni della tela o della materia ma poteva allargare il suo campo, espandendosi attraverso nuove forme e tecniche :

“ vogliamo che il quadro esca dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro”…
«Con le risorse della tecnica moderna faremo apparire nel cielo forme artificiali, arcobaleni di meraviglia, scritte luminose». 

Fontana cerca di superare i limiti bidimensionali della tela, per creare uno spazio al tempo stesso fisico e concettuale. 

I tagli e i buchi dei suoi quadri monocromatici, oltre a rendere concreto lo spazio vuoto, consentono alla materia di esprimersi attraverso le sue stesse sporgenze e depressioni.

Quello del “taglio” è sì un punto di arrivo di precedenti ricerche ma è anche un gesto che non ammette più ritorni o riflessioni: il piano della tela, così uniforme e importante nella tradizione pittorica, si rompe e si ha una compenetrazione con lo spazio circostante e la dimensione dell’arte ora è potenzialmente infinita. 




G.D.C.


Letture consigliate: Manifesto Blanco (1946)

venerdì 6 luglio 2012

Teaser VII° numero "Lo Spazio" in uscita il 21 luglio 2012



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...è arrivato il momento di prendersi il proprio spazio.


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con la partecipazione speciale di IUMO per l'illustrazione di copertina