cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 2 marzo 2013

Kraftwerk: uomo e macchina

I Kraftwerk non sono una band di musica elettronica: sono la musica elettronica. Punto e stop. Il loro nome dovrebbe essere più che sufficiente per liberare dalla vostra mente i vari Chemical Brothers, Air, Daft Punk, Depeche Mode Krueder&Dorfmeister e quel tanto contestato "Kid A" dei Radiohead.
Sono tutti gruppi immortali per carità, ma rimangono comunque prole esclusiva di coloro che, con apparati elettronici, hanno rivoluzionato la musica pop in nuovi linguaggi sintetici, fondatori di una rinnovata sensibilità estetica.

Era la fine degli anni 70 quando quattro musicisti di Düsseldorf, freschi di conservatorio, decisero di unirsi: il resto è leggenda. Senza di loro è impensabile la storia della musica popolare degli anni Ottanta e Novanta, per non parlare delle ultime svolte industrial (vedi i lontani cugini Rammstein).


Generatori di nuove ritmiche, artificiali eppure ancora umane, da leggere con percezione metafisica.

Coltissimi e di una raffinatezza che non ritroveremo più in nessun'altra band elettronica, i Kraftwerk si occultavano in una privacy impenetrabile e lo si percepiva nelle loro performances "brechtiane": la postura rigida, robotica, la parola ridotta al minimo, le tonalità che esercitavano un fascino ipnotico, per sdoganare la dodecafonia verso il pop.
Apparentemente afoni, i brani del quartetto tedesco sono un trip di inediti orizzonti, dove organico ed inanimato si mischiano in voci metalliche e ridondanti.

Qui si arriva a superare dunque ogni stile ideologico: basti pensare alle divise del gruppo, che in maniera inquietante richiamavano l'omologazione  nazista (bianco nero e rosso erano le componenti cromatiche delle bandiere hitleriane). Era un modo per denunciare e al tempo stesso praticare l'alienazione di massa come unica verità, il che stabiliva una continuità tra regime totalitario e contesto capitalista.
Una bomba ad orologeria quella dei Kraftwerk, pronta ad esplodere tra le macerie degli anni settanta: sbattuta in faccia alle platee europee, quando ancora la pubblica opinione spaventava il vecchio continente con la guerra fredda. In questo contesto, la neonata musica elettronica, penetrante ma vera ed autentica, intercettava un sentire popolare che si distanziava dall'estetica punk, pur spartendo con quest'ultima la convinzione assoluta di un futuro da azzerare.
Nella loro vertigine sonora, i Kraftwerk non risultavano appariscenti nei testi, ma tutta la loro composizione portava con sé una teoria politica ed estetica che profetizzava il futuro. La totalitaria rigidità tematica strideva volutamente con lo stile minimalista della musica e dell'immagine stessa del gruppo tedesco. Come in ogni rivoluzione o profezia, lo shock iniziale non fu indifferente.

L'universo  metallizzato e inorganico dei Kraftwerk è molto più reale di quel che crediamo: dominato dall'alienazione di massa che, nonostante i mutati contesti geopolitici e ideologici rispetto a quando i Kraftwerk iniziarono la loro opera, appare più che mai attuale e verificabile.


Autostrade, palazzi vuoti, geometrie lineari e planari, snodi ferroviari, laboratori scientifici, test automatici, presenze di manichini inanimati, macchine, rotori, ingranaggi - è la terra disumanizzata, abitata dall'uomo artificiale.  Il pallore mortale, ottenuto con un cerone applicato impietosamente sui volti inespressivi, raccontava e racconta ancora adesso di quattro uomini già in stato cadaverico e tuttora viventi - una permanenza funebre che continua a esercitare attività, un'allegoria impressionante, esercitata sul tempo stesso che essa rappresenta.

I Kraftwerk sembrano quasi un romanzo che abbraccia interi decenni, un romanzo di accadimenti fantastici, elaborazioni fantasmagoriche su feticci cresciuti nella cultura sociale, culla della nostra crescita. Sono materiali che nutrono la formazione in una civiltà di massa - lo si è appreso molto più difficilmente del previsto – e sono  puramente estetici quanto profondamente politici, significativi rispetto al futuro e ossessionanti rispetto al nostro presente, del quale difficilmente la memoria ne prenderà le distanze.

Questa è l'essenza della musica elettronica: una carica di pulsazioni, calore e sentimenti perfettamente umani, unita in perfetta simbiosi con la macchina, gli uni per le altre e viceversa.


M.B.

Il tris di ascolti fondamentale:

Autobahn (1974)
Trans Europe Express (1977)
Tour de France (1983)

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