cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

martedì 14 febbraio 2012

Sylvia Plath: "Punti fermi"

Una ragazza bionda, alta, sorridente, con un filo rosso sulle labbra. Vestito? alla moda naturalmente. Piega dei capelli? Secondo i dettami dell’epoca, chiaro.
La guardi e potresti pensare a una classica giovane donna benestante fotografata nel più magnifico periodo della sua vita. Non più ragazzina ma neppure entrata nella fase della maturità. Un bellissimo futuro davanti a sé. Tutto da fare, tutto da costruire, e le capacità per farlo.
Ma le chiavi per costruirlo?

Sylvia Plath pubblica la sua prima poesia a otto anni. Entra allo Smith College con una borsa di studio nel 1950, pubblica nel ‘63 un romanzo semi-autobiografico La campana di vetro,  e arriva all’università di Cambridge. Continua a pubblicare poesie. Intanto tiene anche un diario, che scrive fin da quando era bambina.

A Cambridge conosce il poeta Ted Hughes, un bell’uomo, i due si sposano, fanno qualche viaggio per lavoro, e dopo qualche anno arrivano anche due bei bambini.

Ora nella foto Sylvia è abbracciata a Ted o tiene in braccio i suoi figli. E’ cresciuta, ha raggiunto dei successi nella sua vita: niente di meglio per una donna degli anni ’50 del resto: studio e lavoro secondo le proprie passioni, riconoscimenti, un matrimonio, famiglia.
Potrebbe desiderare altro? Vita in ascesa.

Punti fermi.

Ma la ricerca di punti fermi spesso è così aleatoria che sembra difficile mantenere quelli che si sono già raggiunti e impossibile tendersi a nuovi.

“Niente è reale eccetto il presente, e io mi sento già soffocare sotto il peso dei secoli. Un centinaio di anni fa un ragazza ha vissuto come vivo io[...] L’istante sublime, la fiamma che consuma arriva e subito scompare: sabbie mobili, sempre. E io non voglio morire”.

Una sensibilità eccessiva e un’eccessiva tendenza all’introspezione interiore, una forza di volontà oscillante, un volere, volere tanto, volere troppo da se stessi. Perché quando si diventa il peggior giudice di sé, non c’è nulla che ti possa salvare.

E’ così che l’11 febbraio 1963 dopo aver preparato del pane e burro per i figli, aver sigillato  porte e finestre con del nastro adesivo e aver scritto l’ultima poesia, Sylvia apre il gas, e con la testa nel forno decide di mettere un punto, fermo, alla sua vita.


G.D.C.


 


"Io sono verticale" (1961)

Io sono verticale
Ma preferirei essere orizzontale
non sono albero con radici nella terra
a succhiare minerali e amore di madre
così da luccicare di foglie ad ogni marzo
né sono bella come un angolo di giardino
che desta meraviglia per splendore di colori
senza sapere che presto sfiorirà.
Al mio confronto un albero è immortale
e la corolla di un fiore meno alta ma più ardita
vorrei del primo la lunga vita dell’altro l’anima viva.

Stanotte nella luce infinitesimale delle stelle
i fiori e gli alberi spandono profumi freddi
io li attraverso ma loro non si accorgono di me
a volte penso che mentre dormo
quando i pensieri svaniscono
assomiglio a loro perfettamente.
E’ più naturale per me stare supina
allora io ed i cieli parliamo senza riserve
io sarò utile quando resterò così per sempre
finalmente
gli alberi si piegheranno fino a toccarmi
e i fiori avranno un attimo (solo) per me.

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