cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

lunedì 27 febbraio 2012

4’33’’

“Mi è sempre parso che la musica dovrebbe essere soltanto silenzio” [Marguerite Yourcenar]
Il silenzio.
Il silenzio in occidente viene associato molto spesso all’idea della morte, a giudizi negativi, ad attimi ansiosi. Nella nostra società il silenzio viene spesso evitato: come non far caso alle fastidiose musichette di sottofondo che ci tengono compagnia in pizzeria, dal meccanico e perfino mentre aspettiamo che l’anestesia del dentista faccia effetto?
Eppure il silenzio in musica è un suono, un mezzo espressivo pieno di potenziale significato: risalta e amplifica i suoni, li rende più intensi, ne annuncia l'entrata, crea suggestivi istanti d’attesa e sospensione.
Questa ricerca si trova alla base della poetica di John Cage che, nel 1952 presenta lo spartito di “ 4’33’’ ” per qualsiasi organico. Questa partitura può essere eseguita da chiunque, anche da chi non sa suonare alcuno strumento: ci si siede, in silenzio, davanti al piano o con la tromba in mano, e si ascoltano i rumori provenienti dalla sala da concerto e dall’esterno.
Il pezzo è nato dall’esperienza del compositore ad Harvard, all’interno di una camera anecoica – stanza perfettamente insonorizzata - dove Cage comprende che il silenzio non esiste, ma al contrario è materia sonora vera e propria, un attributo del suono.
L’avvicinamento alle filosofie orientali lo porta ad una visione di abbandono dell’io, il compositore non controlla più il suono, la natura, ma è piuttosto il mondo che controlla la partitura: “La musica è natura, non imitazione della natura”.
Attraverso l’alea, Cage, vuole imitare l’indeterminatezza dei suoni casuali creati nell’universo. Questo significa abbandonare l’idea della centralità dell’uomo, rinunciare all’intenzionalità del gesto; il compositore diviene “liberatore di suoni”: non crea, non esegue, non domina. Solamente ascolta.
Di questi tempi si ha un ribaltamento di questo pensiero: la musica che viene prodotta e consumata ha escluso la poetica del silenzio, è diventata un misto di ridondanza e ripetitività, stesse linee melodiche e casse martellanti ossessive; per non parlare del musicista divinizzato alla stregua di un dio creatore.
Oggi la musica ha perso di significato. La musica è diventata semplice divertimento o comune sottofondo (che dà pure fastidio!), ha perso la voglia di dire qualcosa, l’innovazione, la concentrazione e l’attenzione per i problemi che ci circondano.
Abbiamo paura del silenzio, allora per liberarsi dal problema realizziamo musichette banali piene zeppe di suoni orecchiabili, che ci rendono immortali di fronte ad un pubblico che viene sommerso da queste, anestetizzato dalla pubblicità, dalla tv e dai media in generale.
4’ 33’’ pezzo che “sono capace di fare anch’io” mira proprio alla riscoperta di una musica pura, senza grandi artifici estetici o passaggi melodici particolari, mira ad una musica piena di significato, che nel suo “non dir nulla”, nei suoi 4 minuti e 33 secondi di silenzio, dice tutto ciò di cui abbiamo bisogno. La musica, il mondo, la natura, l’arte, siamo noi, siamo circondati da queste bellezze e molto spesso non ce ne accorgiamo perché troppo presi ad ascoltare un “sottofondo fastidioso”.
John Cage ha rivoluzionato il modo di fare e di usufruire d’arte, ha messo in discussione le basi della percezione: ci ha voluto riportare all’ascolto dell’ambiente in cui viviamo, all’ascolto del mondo; cosa a cui, troppo spesso, non facciamo caso .
Ogni suono può essere musica, ogni movimento, segno o parola può diventare arte.

[A.L.]

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