cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 25 maggio 2013

Musset nella cornice del presente



Alfred de Musset (Parigi, 1810 – 1857) incarna l’immaginario del dandy bruciato dall’alcool e morto piuttosto giovane che si trovò a constatare il vuoto che si era creato attorno a sé. Senza riuscire ad accusare nessuno, Musset cadde in una sorta di ‘depressione culturale’. Tutta la sua vita, 47 anni di vita, si inserisce in una ‘cornice del presente’: «presente che separa il passato dall’avvenire e che non è né l’uno né l’altro e che assomiglia a tutti e due in un sol tempo, ed in cui non si sa, ad ogni passo che si fa, se si sta camminando su un seme o su una rovina. Ecco in quale caos si dovette scegliere allora; ecco ciò che si presentava a dei “figli” pieni di forza e audacia».
Ciò avvenne, in Francia, in seguito all’aumento delle tasse sancito da re Carlo X nel 1830 con un editto finanziario che si proponeva di rimpolpare le casse dell Stato; avvenne in seguito alla scoppio della rivoluzione di luglio e alla deposizione del re a favore di Luigi Filippo, primo a farsi nominare “Re dei francesi”. Musset trasformò questa situazione in arte e esordì con successo con l’opera teatrale di ambientazione storico- fiorentina Lorenzaccio (1833).
La sua opera più ‘famosa’,  però, è La confession d’un enfant du siècle (1836), un romanzo a sfondo autobiografico in cui Musset emerge come lo scrittore/ attore dalla celeberrima storia d’amore che lo unì a George Sand. La confession inizia come una sorta di storia campione che vale ad emblema del dandismo, di una generazione bruciata e disincantata che si trovava a riempire i vuoti con l’abuso di alcool e droghe. Egli, nell’incipit del suo romanzo, scrive: «Colpito, ancor giovane, da un’abominevole malattia morale, racconterò quello che m’è successo durante tre anni. Se fossi malato io solo, non ne farei parola; ma poiché molti altri soffrono dello stesso male, scrivo per loro.»
Musset, l’uomo dilaniato, prende infine la strada della ‘dedizione’ all’assenzio e pronuncia la parola poetica del totale disimpegno, anche in termini di vita ‘pratica’. Egli vive con un inesprimibile malessere la sua condizione di giovane, si sente abbandonato agli stupidi, consegnato all’ozio e alla noia: « la vita al di fuori era così pallida e meschina;  l’ipocrisia più severa regnava nei costumi e l’allegria era scomparsa». Musset sembra essere lo scrittore che vive con disperazione anche la propria condizione di poeta/romanziere, come scrive in La Muse: «le loro declamazioni -dei poeti- sono come delle spade che tracciano nell’aria un cerchio abbagliante, ma dal quale cade sempre qualche goccia di sangue». Musset è stato definito per questo il “poeta pellicano” che, cercando il nutrimento per i suoi piccoli -allegoricamente, per il suo pubblico- trova solo il vuoto e il deserto; così infine sceglie di sdraiarsi ed aprire il proprio cuore in modo che i piccoli pellicani/ lettori possano beccarlo e vivere di sé.
Un canto disperato e bellissimo in cui, del pellicano, spiega: «l’oceano era vuoto e la spiaggia deserta, come cibo egli offre il suo cuore! triste e silenzioso steso sulla pietra condivide con i suoi figli le viscere di padre.»

S.T.


Lettura Consigliata: La confessione di un figlio del secolo, Alfred de Musset (1936)

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