cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

domenica 15 gennaio 2012

La faccia oscura degli Anni Ruggenti: il Proibizionismo

Mentre a Parigi imperversavano gli Anni Folli, negli Stati Uniti dominavano i gangster e il proibizionismo.

“Ehi Max, quanti soldi abbiamo in cassa?”
“Perché?”
“Siamo disoccupati.”

È il 20 novembre 1933, e nei quotidiani americani esce la notizia che in dicembre verrà ritirato il Volstead Act, sancendo la fine del proibizionismo. Il dialogo si svolge tra Maximilian “Max” Bercovicz (interpretato da James Woods) e David “Noodles” Aaronson (Robert de Niro), nell’ultimo grande capolavoro di Sergio Leone, C’era una volta in America (1984): i due sono a capo di una gang che, grazie al commercio illegale di alcolici, ha costruito un business da milioni di dollari e vede concludersi la “carriera” da contrabbandieri con la fine del proibizionismo. Come la banda di Max e Noodles, gli anni tra il 1919 e il 1933 vedono la nascita negli Stati Uniti di numerosissime cosche criminali legate al commercio di contrabbando di alcolici, nelle quali la figura di maggior spicco è sicuramente quella di Al Capone. Ma cosa portò il governo americano a proporre un emendamento contro la fabbricazione, la commercializzazione e il consumo di sostanze alcoliche?
Le ragioni furono molteplici. Prime fra tutte vi era la forte pressione esercitata dalle Società di Temperanza, movimenti politico – religiosi caratterizzati da un forte moralismo capaci di influenzare notevolmente, attraverso i loro voti, le politiche del governo statunitense. Nel primo ‘900 il consumo di alcool tra la popolazione americana era molto alto, soprattutto nei ceti più poveri (ma non solo), con immaginabili conseguenze negative nei rapporti sociali. Ma vi era anche una ragione economica: molte di queste Società di Temperanza erano infatti sostenute anche da alcuni tra i più importanti magnati della fiorente industria americana (Rockefeller, Ford, Joy), i quali apportavano ingenti quantità di denaro (e i voti sopracitati). Era infatti opinione diffusa che l’abuso di alcool e sostanze stupefacenti portasse ad un aumento dell’assenteismo dal lavoro e ad una diminuzione dell’efficienza della manodopera, oltre ad impoverire il tessuto industriale americano, con le spese delle famiglie destinate più alle bevande alcoliche che non ai beni generati dalle imprese nazionali.
Il 16 gennaio 1920 entrarono in vigore il Volstead Act e il XVIII Emendamento degli Stati Uniti, sancendo il bando sugli alcolici e le sostanze alteranti contenenti una quantità di alcool superiore allo 0,5% del volume; la sera del 15 gennaio, milioni di americani presero d’assalto i negozi per accaparrarsi le ultime bottiglie vendibili legalmente. Inevitabilmente i prezzi degli alcolici salirono alle stelle: niente di più allettante per la nascita di numerose reti di contrabbandieri.
La perversità della mente umana tende a violare le regole più esse sono restringenti: il proibizionismo non fu un’eccezione. Il consumo di alcool non diminuì, ed anzi diventò sempre più pericoloso in quanto, essendo la preparazione delle bevande illecita e quindi non più controllata, vi andavano a confluire le più disparate sostanze, alcune delle quali dannose per la salute, che causarono non pochi decessi tra i bevitori più accaniti (come quando furono scoperte le qualità alcoliche dello zenzero giamaicano tralasciando il fatto che la sua assunzione provocava una paralisi di gambe e braccia). Come si procuravano gli alcolici ora i cittadini americani? Il mezzo più diffuso era quello degli “speak-easy”, sorta di locali dove si entrava solamente con una parola d’ordine predeterminata e dove si potevano consumare bevande alcoliche. In genere gli “speak-easy” si avvalevano di un negozio civetta (come ad esempio un ristorante), dal quale, passando nel retrobottega con la parola d’ordine, si entrava in un locale in cui poter sorseggiare tranquillamente del whisky o del brandy lontani da sguardi indiscreti.



I fili del contrabbando degli alcolici erano diretti dalle più importanti famiglie di criminali, tra le quali primeggiava la figura di Al “Scarface” Capone, soprannominato così per la vistosa cicatrice che ne deturpava il volto causata da una coltellata inflitta dal fratello di una donna sulla quale Capone aveva espresso apprezzamenti pesanti (e la cui figura è stata interpretata magistralmente da Al Pacino in una trasposizione cinematografica del personaggio nel traffico della droga degli anni ’80 nell’omonimo film di Brian de Palma, re-make di Scarface di Howard Hawks del 1933). Al Capone, da criminale avveduto, investiva parte degli introiti incamerati grazie al contrabbando in attività lecite, che ne occultavano quindi i guadagni illeciti, oltre a numerose bustarelle passate a poliziotti e autorità governative (tra le quali spiccava il sindaco di Chicago William Hale Thompson) attraverso le quali si garantiva una protezione politica. Le bande di contrabbandieri sorgevano numerose ovunque, allettate dai consistenti guadagni prodotti dalla commercializzazione degli alcolici: le guerre tra cosche diventarono così inevitabili, sfociando in uno dei regolamenti di conti più cruenti della storia, la Strage di San Valentino. Il 14 febbraio del 1929 cinque scagnozzi della banda di Capone, travestiti da poliziotti, fecero irruzione nella sede di una gang rivale capeggiata da George “Bugs” Moran: fingendo un controllo di polizia, i sette componenti della gang nemica vennero messi in fila spalle al muro e fucilati come in un’esecuzione.
Tra le vittime del proibizionismo vi furono anche numerosi civili innocenti, che ebbero la sola colpa di trovarsi nella strada sbagliata al momento sbagliato, nel mezzo delle continue sparatorie tra polizia e gangster, o colpevoli di gesti equivoci ai quali la polizia non ci pensava su due volte prima di aprire il fuoco.
Verso la fine degli anni ’20 anche i più accaniti sostenitori del proibizionismo cominciarono a rendersi conto del suo fallimento: gli “speak-easy” erano più frequentati e più numerosi dei bar tradizionali, i decessi per cause legate all’alcool erano sempre più frequenti, non ultimo l’aumento del 50% dei suicidi dovuti alle indigenze economiche causate dalla dilapidazione di interi patrimoni per potersi procacciare le bevande alcoliche. Il commercio di contrabbando era ormai uno dei più fiorenti dell’industria americana, e il puritanesimo e il perbenismo delle Società di temperanza, in fin dei conti, non aveva fatto altro che peggiorare la situazione, dando linfa vitale a un sistema di criminalità e corruzione. Per eliminare il proibizionismo bastò una votazione, ma le pagine della storia resteranno indelebili così come i necrologi delle vittime di questa follia. Negli Stati Uniti gli Anni Folli furono interpretati così.

M.F.

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