cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

domenica 15 gennaio 2012

Il manichino Stravinskij

“...un acrobata, un funzionario statale, un manichino da sarta, psicotico, infantile, fascista, e devoto solo al denaro.” (Theodor Adorno, 1948)
Accostare Stravinskij ad un manichino mi fa pensare al suo variegato stile: russo di carattere cosmopolita agli esordi, fauvista neoclassico nel suo periodo più maturo e infine convertito alla dodecafonia negli ultimi anni di vita.
Il compositore, naturalizzato francese, deve la sua fama a due balletti composti nella prima parte della sua carriera: Petrushka (1911) e Le Sacre du Printemps (1913).
La prima de La Sagra della Primavera non venne accolta dalla platea a braccia aperte. Il concerto si concluse con una rissa, risultato cercato dall’autore che sottolinea, non a caso, il legame tra i balletti pagani degli “adolescenti” che pregano per la benevolenza della “madre terra”, al mondo
dei lavoratori russi che invocavano migliori condizioni lavorative allo zar.
In realtà il pubblico non abituato alla musica di Stravinskij, zeppa di poliritmie e bitonalità, si trovava ancora più spaesato dai balletti e dalle coreografie del tutto innovative per l’epoca.
Gli anni ’20 sono, per il compositore, un ritorno al classicismo, in contrapposizione alla nascente idea compositiva della dodecafonia di Schoenberg che annullava tutti i rapporti tonali tra le note, l’atonalismo. In questo modo tutti i suoni “pesano” egualmente e non sono più presenti le gerarchie che creano tensione o risoluzione in un pezzo.
Stravinskij lascia da parte le grandi orchestre per combinare piccoli organici in composizioni che hanno il suo tratto stilistico inconfondibile. È presente l’armonia tonale classica, ma, al suo interno, vi si divincolano sorprendenti dissonanze e passaggi ritmici - o “contro ritmi”, aggettivo spesso usato dal compositore –ormai divenuti il marchio del maestro.

Nonostante lo stile del “manichino Stravinskij” subirà ulteriormente una variazione verso la fine degli anni ’20 non erroneamente, a mio avviso, si etichetta Stravinskij come autore neoclassico per eccellenza. Nel periodo seriale o atonale, ampiamente ripudiato e criticato all’inizio della sua carriera, il compositore prenderà come modello non Arnold Shoenberg, padre indiscusso della dodecafonia, ma Anton Weber cioè colui che farà proprio il linguaggio dodecafonico utilizzandolo per costruire una scrittura elaborata, appunto il serialismo.
Si parla di serialismo come "metodo di composizione con dodici note non imparentate tra di loro": essa, profondamente e rigidamente sorretta da regole ferree, diviene sintomo di resistenza dall’oppressione nazista. Data la sua stessa natura innovativa e controcorrente, la tecnica, è stata il punto da cui partire per i primi compositori antifascisti. Stravinskij utilizzerà il metodo seriale, ormai diventato un linguaggio di composizione al pari di un qualsiasi altro lessico da lui utilizzabile e modificabile, come negli anni ’20 utilizzava gli stilemi della musica sette-ottocentesca, per ricreare pezzi neoclassici.

Ciò che per Adorno è un illusione, “il tentativo della sua musica di ritrarre il tempo come in un dipinto di circo e di presentare i complessi temporali come fossero spaziali” io personalmente la trovo una perfetta sintesi del lavoro di Stravinskij: sempre alla ricerca di uno stile cangiante, pronto ad adeguarsi con prontezza alle esigenze del tempo, esuberante e a volte fuori da tutte le logiche dell’epoca.
Nel panorama di impoverimento culturale, di cui ormai siamo abituati, sarebbe benaccetta una nuova “rivoluzione musicale” che ci renda quantomeno divergenti sul modo di pensare, e quindi esseri umani unici.
Stravinskij e altri grandi del passato sono riusciti, grazie a quel tipo di musica “difficile da ascoltare”, a risvegliare la coscienza della gente, la I guerra mondiale, la depressione, l'ascesa del nazismo e la II guerra mondiale, la paura dell'atomica e la guerra fredda.
Oggi non riusciamo a renderci conto che la musica è investita da una leggerezza che la rende, oltre che monotona, scontata e fuori dalle logiche del tempo: la musica allontana l’uomo dalla vita sociale e politica.
Riascoltando la più che attuale Sagra della Primavera non posso che pensare allo scalpore che a suo tempo provocò fra gli ascoltatori di “alto rango” e a come il mito di Stravinskij sia, ancora al giorno d’oggi, vivo e avanguardistico.


A.L.

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