cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 27 luglio 2013

Il trasparente enigma

Del diritto all’opacitàQuale voce a noi giunge con il suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di uno che a noi parla
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché noi abbiamo ascoltato

F. Pessoa, Le isole fortunate

Da sempre, nella riflessione filosofica come nel linguaggio comune – con debiti reciproci tra i due ambiti – la grammatica dell’in/visibile è l’orizzonte in cui si costruiscono le metafore per raccontare i modi buoni e cattivi di esercitare il potere. Il Palazzo di Vetro che ospita il Segretariato delle Nazioni Unite a New York e la politica della trasparenza (glasnost) con la quale Gorbačëv volle provare un estremo tentativo di riforma dell’agonizzante gigante sovietico sono solo due dei recenti eredi dell’ossessione della politica per il proprio carattere pubblico, ultimi figliocci del racconto mitico che Platone tramanda nel Libro II della Repubblica. Il bovaro Gige, dopo un terremoto, spinto da curiosità entra in una voragine apertasi nel terreno; trova il cadavere di un soldato che ha al dito un bellissimo anello d’oro; Gige se ne impossessa e scopre ben presto che quell’anello dona il potere dell’invisibilità. Approfittando di tale potere, il bovaro seduce la moglie del re e uccide quest’ultimo, prendendone il posto. Glaucone, il personaggio del dialogo cui Platone mette in bocca il mito, ne trae la morale che nessuno è talmente virtuoso da non approfittare dell’invisibilità per commettere azioni ingiuste a proprio vantaggio; di più: “giusto” e “ingiusto” sono convenzioni sociali, che si reggono sul controllo che la società stessa esercita sui propri membri e sulla consapevolezza di questi ultimi di essere controllati.
È precisamente entro tale orizzonte concettuale che Norberto Bobbio, nel 1984, svolge alcune considerazioni sugli insuccessi della democrazia. A suo avviso, il più grave e meno considerato di essi sarebbe legato precisamente al tema del potere invisibile, che in Italia era terribilmente all’ordine del giorno per la lunga serie di attentati che dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 avevano insanguinato il Paese. Bobbio ci ricorda che i discorsi, vecchi e nuovi, sulla democrazia, vedono in essa il governo del potere visibile, o del potere pubblico in pubblico, per cui la pubblicità sarebbe la regola ed il segreto l’eccezione. Del resto, la democrazia di cui parla Bobbio e di cui siamo cittadini è basata sulla logica della rappresentanza: rappresentare significa rendere visibile, rendere presente qualcuno o qualcosa che è assente; secondo tale logica i rappresentanti del popolo, i parlamentari, “mettono in scena” i cittadini che li hanno eletti, con le loro esigenze e le loro aspirazioni. Lasciando il ragionamento di Bobbio, aggiungiamo che la rappresentanza è parente stretto della rappresentazione, per cui il “carattere finzionale” della politica democratica apre inevitabilmente lo spazio ad una zona opaca, che nei casi peggiori – quando, cioè, se ne faccia un uso intenzionalmente dispotico – diventa oscura. Tale opacità sembra essere un carattere distintivo di ogni relazione asimmetrica, compresa quella particolare forma di asimmetria che è il potere. La democrazia e la logica della rappresentanza costruiscono il popolo che ne dovrebbe costituire presupposto e ragion d’essere; facendo ciò, proiettano i limiti individuali in una potenza comune, ma vincolano tale potenza a meccanismi che gli individui non possono conoscere, pena il collassare del sistema stesso. Le giuste preoccupazioni di Bobbio sulla deriva autoritaria che ogni democrazia cova al proprio interno vanno allora affrontate con la capacità di analisi del politologo e la passione del militante, che devono porre un freno agli interessi delle lobby, togliendo terreno da sotto i piedi a possibili poteri occulti; devono però essere lette anche con la sensibilità del poeta, che avverte l’ineludibilità dell’opaco ed il pericoloso carattere consolatorio della metafora del vetro.


Scrive Ludwig Wittgenstein che «di un uomo diciamo che ci è trasparente. Ma per questa considerazione è importante che un uomo possa essere un completo enigma per un altro uomo.» Trasparenza e opacità sono entrambe – spesso, insieme – caratteri della nostra esperienza degli altri e del mondo: possiamo riconoscere la trasparenza di un gesto, di un sentimento, di un discorso proprio perché sappiamo farci un’idea di cosa significherebbe percepirne l’opacità – e viceversa. Ecco allora che, ogniqualvolta singoli individui o movimenti collettivi chiedano a gran voce maggiore trasparenza, come se questa fosse di per sé la soluzione dei nostri problemi, dobbiamo ricordare l’importanza dell’opacità, che è il primo modo di darsi dell’altro a noi e di noi stessi all’altro: una zona d’ombra che non solo ci difende dall’essere totalmente dischiusi al mondo, ma soprattutto costituisce la condizione per un percorso di conoscenza, di condivisione che non schiacci alcuno dei soggetti coinvolti. Tra i pochi che abbiano colto con radicalità questo aspetto della relazione col Diverso, si distingue il poeta, filosofo e scrittore martinicano Édouard Glissant, teorico della creolizzazione. Nella sua Poetica della Relazione torna con insistenza sul “diritto all’opacità”, nella quale egli vede non necessariamente l’oscurità – che pure è implicata da e in ogni relazione – ma «il non riducibile, che è la più vivace delle garanzie di partecipazione e di confluenza. Eccoci lontano dalle opacità del Mito o del Tragico, la cui oscurità provocava esclusione, e la cui trasparenza tendeva a “comprendere”». La metafora della trasparenza va abbandonata, perché «[e]sistono ancora centri di dominio, ma è evidente che non esistono più luoghi privilegiati ed esclusivi del sapere, metropoli della conoscenza. […] La trasparenza non appare più come il fondo dello specchio in cui l’umanità occidentale rifletteva il mondo a sua immagine; in fondo allo specchio c’è ora opacità, tutto un limo depositato dai popoli, limo fertile ma, a dire il vero, incerto, inesplorato, ancor oggi molto spesso negato o offuscato, di cui non possiamo non vivere la presenza insistente.»
Oggi che siamo portati a vedere la democrazia come orizzonte del bene, come unica alternativa alla tirannia – e quindi comprendiamo i suoi punti oscuri come errori contingenti, da superare e superabili una volta per tutti – le parole del poeta creolo ci richiamano al compito inesauribile di trovare il giusto nell’impasto di luce e buio, di trasparenza ed opacità che ognuno di noi è, in qualunque regime politico. La giustizia, forse, è nello sguardo che sappia riconoscere l’in/visibile.

M.P.





Da leggere    N. Bobbio, Il futuro della democrazia. Una difesa delle regole del gioco,Einaudi, Torino 1984
É. Glissant, Poétique de la Relation. Poétique III, Éditions Gallimard, Paris 1990 (tr. it. di E. Restori, Poetica della Relazione. Poetica III, Quodlibet, Macerata 2007)

A teatro        Ailuros Teatro delle nebbie, Insanocorpore (studio), di N. Cecconi e B. Riebolge, con A. Dal Bello e F. Mazzocco

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