cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

venerdì 31 agosto 2012

Le Corbusier: un viaggio tra mediterraneo e modernità.


Quando penso a Le Corbusier, penso ad un uomo che guarda le sue utopie di cemento: lo si capisce sfogliando uno zibaldone di poesie, immagini, litografie che il grande architetto intitolò "Le Poème de l'angle droit"(Il poema dell'angolo retto). Lo considerava la sintesi del suo pensiero artistico, l'ultimo approdo della sua concezione dello spazio. "Sono un asino - diceva di sé – ma che ha l'occhio. Sono un asino con l'istinto della proporzione. Sono e rimango un visivo impenitente.”
Da quali fatti o esperienze nacquero simili affermazioni? Non è semplice descrivere il profilo di un personaggio che forse più di ogni altro influenzò l'architettura del Novecento, forzandone i limiti e saturandola di genialità e contraddizioni.
Intanto, quanti furono i Le Corbusier? Anagraficamente, uno solo: e cioè quel Charles-Edouard Janneret-Gris (lo pseudonimo di Le Corbusier lo adottò per la prima volta sulla rivista Esprit Nouveau, da lui fondata nel 1919 con il pittore Amédée Ozenfant e il poeta Paul Dermée), nato in Svizzera, a La Chaux-de-Fonds il 6 ottobre 1887. Culturalmente, molti di più: il razionalista severo e l'umanista innamorato della classicità mediterranea, il teorico del cemento armato e il disegnatore di leggerissimi mobili, l'autodidatta in lotta contro le accademie e l'architetto disposto a collaborare con i potenti, l'intellettuale che vagheggiava complessi abitativi ai limiti del razionalismo e il poeta capace di progettare una chiesa pronta quasi a spiccare il volo. E poi il tirchio, il generoso, il cinico, il genio... Tutto e il suo contrario, apparentemente. Ma sempre in tensione verso il confine dell'eccellenza, e sempre all'insegna di un culto smisurato dell’ego.
Così, se uno ne avesse voglia, dovrebbe cercare di districarsi nella grande mole di schizzi e studi che Le Corbusier nei suoi viaggi giovanili, per fiera volontà di testimoniare i suoi studi, ci ha consegnato. Disorientante, d'accordo. Ma si potrebbe almeno tentare, per scoprire quali origini abbia il suo pensiero. La meta, come si dice, vale il viaggio.
E numerosi furono i viaggi del Maestro: un continuo allenamento dell'incredibile capacità di osservazione del reale che per un progettista è la prima chiave di lavoro. “Guardare / osservare / vedere / immaginare / inventare / creare”: questa la progressione che teorizzerà lui stesso negli ultimi anni. E ancora: “Si tratta dell'occhio di un asino che ha capacità di sensazioni.”
Più che un'attitudine, un dono, il suo sguardo, o meglio ancora: la possibilità di cogliere il centro al primo colpo d'occhio. Ma anche una tecnica, dapprima sorretta dalla pratica costante del disegno (la macchina fotografica, inizialmente adottata, poi abbandonata, era per lui «strumento di pigrizia»), poi, con l'arrivo della Cupido 80 (una camera assai evoluta per l'epoca), perfezionata con splendide fotografie. Infine liberata dall'aereo (Corbu fu tra i primi civili a farne un uso sistematico): “Dall'aereo ho assistito a spettacoli che si potrebbe definire cosmici. Che invito alla meditazione! Che richiamo alle verità fondamentali della nostra terra!”.
Così, partendo dagli occhi, riuscì a cogliere il senso di tutti i progetti che si trovò ad affrontare, a formulare le domande corrette e dunque a dotarsi di un bagaglio culturale essenziale che gli consentì un uso trasversale del proprio sapere.
Difficile, qui, riassumere in poche righe le esperienze e i soggiorni che segnarono il suo percorso creativo. Ricorderemo il suo apprendistato presso Peter Behrens, a Berlino (fra il 1910 e il 1911), e il famoso "Voyage d'Orient" dove Le Corbusier lasciò la Germania ed intraprese un viaggio che lo condusse attraverso, la Boemia, l'Austria, i Balcani, la Romania, la Bulgaria, l'Ungheria ad Istanbul, ad Atene, fino al Monte Athos, per poi ricondurlo in Svizzera attraverso l'Italia.
Furono tutte tappe decisive, al punto che, nel corso della sua vita, Le Corbusier ricordò sempre come radici della sua opera e della sua convinzione secondo la quale il Mediterraneo è la culla della civiltà di cui si sente figlio e interprete.
Le Corbusier nutrì un vero amore per il Mediterraneo, e fu una toccante coincidenza per lui morire perdendosi tra le onde in un ultimo bagno estivo a Cap Martin, in costa Azzurra, il 26 agosto 1965.
Nello stesso luogo il Maestro costruì la sua casa al mare, il “Cabanon”, una baracca in legno di una trentina di metri quadrati. Un tavolo, uno sgabello, un letto, un lavandino. Un'autopunizione forse? Al contrario: l’estetizzazione dell’essenziale, un monito ai tempi moderni, dove l'architettura è un effetto e in essa nulla sembra bastare. Del resto, l'essenziale richiede una dimensione, mentre il superfluo no Nel 1937 scrisse: “Nel corso degli anni, mi sono sentito diventare sempre più un uomo di dovunque, con questa forma caratteristica soltanto: la natura mediterranea, regina delle forme sotto la luce”.
Le Corbusier non si separò mai dai suoi piccoli taccuini, ricchissimi di appunti e disegni, in quanto fonte principale per studiare la sua formazione.
Durante tutta la sua vita egli viaggiò prendendo appunti su sopporti analoghi; i suoi album di schizzi, ora conservati alla Fondation Le Corbusier a Parigi, sono di fascino ineguagliabile e una fonte preziosa per gli studiosi.
Questi viaggi certo pesarono nella sua devozione alla classicità. Come pure fu decisiva, nel suo inseguimento di uno standard edilizio innovativo, l'impressione che gli fecero le rovine della Prima
guerra mondiale in Francia. Di tutto questo formulò una sintesi magistrale in “Vers une architecture”, il libro che nel 1923 gli valse la definitiva consacrazione nell'olimpo della modernità.
Le Corbusier scrisse: "Ho guardato, visto, osservato, scoperto.(…)La vita non appartiene a quelli che sanno ma a quelli che scoprono".
Scoprire per lui fu viaggiare.
Le tracce di Le Corbusier sono presenti nella nostra contemporaneità ed influenzano la quotidianità: osservando le sue opere, talvolta immagino di essere in un cimitero dei Carpazi, mimetizzato nell'alveare di Atene, tra i campi della Puglia o nella periferia di Firenze. Oppure immagino di essere sul Monte Athos alla ricerca di nuove storie, ad accorgersi di quanto poco sia necessario per raggiungere la felicità.



M.B.

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